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Annabelle 3 (Annabelle comes home in originale) è un horror assolutamente canonico, nel bene e nel male. Puntuale, consegna ciò che promette: un paio d’ore in una sala buia a chiedersi quando arriverà il prossimo spavento. Gioca con cliché e stereotipi senza preoccuparsi troppo di variare e trova un suo equilibrio nell’atmosfera da royal rumble demoniaca, scatenata dal potere della bambola.
Allo stesso tempo, però, il pubblico più smaliziato e (potenzialmente) esigente non trova granché di cui stupirsi. Eppure, ed è un gran pregio, Annabelle 3 è onesto a tal punto che, in più di un frangente, non si prende troppo sul serio e ironizza sulle sue stesse meccaniche, vetuste ma ben oliate.
Tra l’altro, considerato l’universo horror cui appartiene, quello di The Conjuring, è divertente constatare come i vari film rimandino ormai l’uno all’altro, in modo meno invadente ma non diverso, nel principio, da quanto fatto dagli altri celebri universi narrativi al cinema.
Siamo di fronte a un calderone di tanti, forse troppi demoni diversi, che potrebbero un domani avere una pellicola standalone ciascuno. Magari usando questo film come screen test improprio.
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In ogni caso, l’ambientazione diventa prevedibilmente “casa” di scontri separati e paralleli. La squadra di co-protagonisti, senza infamia e senza lode, si divide antagonisti e oggetti posseduti, riunendosi soltanto sul finale.
Ciò garantisce una narrazione molto dinamica, ma fallisce nello spaventare a fondo. Un piatto pieno di sapori, senza un solido punto di ancoraggio. Situazione tipica, in effetti, di quando uno sceneggiatore, in questo caso Gary Dauberman, viene promosso alla regia. È successo lo stesso anche con Simon Kinberg e X-Men: Dark Phoenix.
Un peccato, perché questa Civil War dell’horror-verse, con una punta di ironia, poteva costituire ben altra palestra rispetto alla visione, godibile ma poco incisiva, che rappresenta allo stato attuale. La bambola, comunque, inanella un’altra performance convincente.