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Roma brucia. Incendi all'orizzonte di un'estate torrida, blackout continui. In una serata come le altre di questo inferno, il giovane Manuel si intrufola in una festa notturna. Vittima di un ricatto, deve scattare alcune foto compromettenti ad un misterioso individuo, ma sentendosi raggirato decide di scappare.
Braccato dai "committenti", Manuel cerca aiuto da un ex criminale (Valerio Mastandrea), vecchia conoscenza di suo padre, ormai anziano e con la testa "che va e viene" (Toni Servillo).
Per la prima volta in concorso a Venezia, Stefano Sollima torna ad ambientare un film nella sua città dopo le varie esperienze all'estero (Soldado, Senza rimorso): "Roma è cambiata e anch’io. L’ho osservata con occhi diversi percorrendo le sue strade con un altro passo. Un adagio".
Da qui la scelta del titolo, Adagio appunto, suggestione ossimorica per un crime movie che, già dalle premesse atmosferiche, sembra voler marcare una distanza da Suburra, film che catturava il malaffare diffuso della capitale sotto un diluvio perenne.
Guardie criminali da una parte, ex malavitosi sul viale del tramonto dall'altra, Sollima - che scrive il film insieme a Stefano Bises - mette al centro di questo scontro inaspettato l'esordiente Gianmarco Franchini: il suo Manuel è un ragazzo come tanti, finito in qualcosa di più grande di lui. Preda di cacciatori famelici (superlativa la prova di Adriano Giannini, uomo che in superficie cerca di fare il possibile per i due figli ma che al tempo stesso non si fa alcuno scrupolo per raggiungere l'obiettivo), finirà per riesumare un passato che la città stessa aveva finito per sotterrare.
L'ormai cieco Pol Niumànn, il "rintronato” Daytona e il terminale Romeo detto Er cammello (un Pierfrancesco Favino ancora una volta chiamato ad una trasformazione fisica ai limiti del respingente, ricorda quasi il Bastardo giallo di Sin City...) incarnano il declino inesorabile di tre vecchie leggende della Roma criminale.
Ognuno a proprio modo cerca una sorta di redenzione impossibile, mentre tutto intorno - i valori, le istituzioni, il presente e il futuro - continua a bruciare. L’unica speranza? Il taglio netto con tutto questo da parte delle nuove generazioni.
Come da titolo, Sollima procede in maniera meno esplosiva rispetto ai suoi standard abituali, costruisce poco a poco il quadro generale entro cui si muovono i vari personaggi, svelando in maniera “controllata” le motivazioni o l’intreccio pregresso che regolava i rapporti di alcuni, concedendosi un interessante (ma quanto realmente inaspettato?) plot twist verso la conclusione del racconto. Che procede verso il tragico finale in una stazione affollatissima e un rivedibile sottofinale (le cuffie...), girando un po’ su sé stesso e perdendo forse quel fascino iniziale che ne contrappuntava l’incedere misterioso. Resta però, indubbia, la volontà da parte di Sollima di chiudere un cerchio “capitale”, nato con la serie di Romanzo criminale e passato – al cinema – per A.C.A.B. e Suburra.
Califano canta Tutto il resto è noia sui titoli di coda, vecchie foto raccontano di amicizie che la vita ha portato via, restano la consapevolezza di aver assistito a un discreto prodotto di genere e il dubbio della collocazione nel concorso principale della Mostra di Venezia.
L’arrivo in sala è previsto il 14 dicembre (Vision Distribution), la destinazione finale – data anche la collaborazione di Netflix in produzione – sarà però quella delle piattaforme.