A suo modo, date le circostanze e visto lo storico, è stata già un’impresa eccezionale portare a casa la cerimonia dei David 65. La più mesta e sfortunata di sempre, chiaro, ma, insomma, anche il contesto conta.

Dalla tensione palpabile di un settore preoccupatissimo e rappresentato dalle prime linee (intervenuti in diretta da casa solo autori e registi candidati, maestranze messe da parte) alla precarietà dei collegamenti, specchio di un Paese ostaggio di prospettive incerte e connessioni traballanti.

Pinocchio

Che peccato per i David 65, travolti dal Covid: “i Covid di Donatello” per citare la battuta migliore, dovuta a Roberto Benigni (lo sconfitto eccellente della giornata). Peccato perché la selezione dei film in gara racconta davvero una cinematografia vivace e desiderosa di lanciare il cuore oltre l’ostacolo. La faccia migliore della medaglia indubbiamente, il nostro vestito buono, ma va bene così.

Ha vinto – si sapeva – Il traditore (sei statuette) il più compatto, completo, compiuto, solido della cinquina, e ha vinto Marco Bellocchio, che a ottant’anni si conferma ancora una volta il più sorprendente dei nostri registi.

Non è solo il film che in questi David 65 meglio rappresenta l’idea di un cinema sprovincializzato, capace di rinnovare se stesso e dialogare con il pubblico internazionale (nonché ottenere un notevole esito al botteghino). Ma è anche quello che sin dal titolo intercetta il tema di molti dei film in gara: il tradimento, elemento fondamentale dell’identità italiana.

Se Buscetta ne è il testimone più visibile, incarnato dal maestoso Pierfrancesco Favino inevitabilmente premiato (terzo David dopo quelli vinti con il Libanese e Pino Pinelli, ma il primo da protagonista), Romolo e Remo sono i più antichi del gruppo, protagonisti de Il primo re.

Il primo re

E dei tre premi si segnala quello per la miglior produzione (gli altri alla fotografia di Daniele Ciprì e al suono). Tipicità tutta italiana che anche in questo caso si rivela soprattutto un riconoscimento al coraggio di un’operazione spericolata e certo ambiziosa.

Per ambizione compete con Matteo Garrone, trionfatore dell’anno scorso e oggi demiurgo di Pinocchio, fedele e discontinuo adattamento collodiano che porta a casa cinque sacrosanti David tecnici (scenografie, costumi, trucco, acconciature, effetti speciali).

Il racconto formativo di Pinocchio ha la meglio su quello noir dei ragazzini traditi dalla vita del bellissimo La paranza dei bambini, rimasto a bocca asciutta. All’adattamento da Roberto Saviano la giuria ha preferito la più sofisticata opera di traduzione e amoroso tradimento compiuta da Maurizio Braucci (candidato anche per la Paranza) con Pietro Marcello in Martin Eden.

Quello per la sceneggiatura non originale è l’unico premio ottenuto dal film su undici candidature, ma in un certo senso è già indicativo che un regista come Marcello – gratificato peraltro da un inedito successo: quasi due milioni al box office – abbia ottenuto una tale consacrazione istituzionale.

E fa piacere anche vedere lo straordinario Selfie premiato tra i documentari, nonché Phaim Bhuiyan miglior regista esordiente per Bangla, un film importante oltreché fresco e divertente.

Bangla

Benché in gara contro il Thom Yorke dell’ignorato Suspiria (e purtroppo trascurato anche il mélo quasi sperimentale Ricordi?), nessuna obiezione al Diodato di Che vita meravigliosa (miglior canzone per La dea fortuna), primo a vincere un David dopo un Sanremo. Sorprendente l’Orchestra di Piazza Vittorio premiata per la colonna sonora dell’invisibile Il flauto magico di Piazza Vittorio (16mila euro al box office!).

Inattaccabile il Luigi Lo Cascio del Traditore, che ha dedicato la statuetta per il miglior attore non protagonista allo zio, il compianto Luigi Maria Burruano, che interpretò suo padre ne I cento passi. Momento più bello e autentico: i figli che irrompono in scena e festeggiano il papà appena premiato.

Discorso a parte sulla questione attrici, già affrontata altrove. Considerando la selezione dei David 65, il confronto con i ruoli maschili è impietoso, le candidate tra le protagoniste erano per metà da nominare tra le non protagoniste, alcune non protagoniste appaiono sì e no per una manciata di pose.

Valeria Golino in 5 è il numero perfetto

Il David come non protagonista a Valeria Golino per 5 è il numero perfetto è più un attestato di stima personale e di attenzione a un film discutibile ma molto amato dai giurati (9 candidature) che alla prova in sé. E come non condividere la velata perplessità di Jasmine Trinca, generosamente nominata tra le protagoniste e perfino premiata per La dea fortuna.

Infine, solo una sfuggente fotografia della premiazione di Franca Valeri, David speciale (ma perché non denominarlo “alla carriera”?) nell’anno dei suoi cento anni, compleanno condiviso con gli altrettanto omaggiati Federico Fellini e Alberto Sordi. Confrontare la ricchezza delle (non molte) interpretazioni cinematografiche della divina signora con i ruoli femminili presi in considerazione oggi, come dire, è quasi imbarazzante.