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(Cinematografo.it/Adnkronos) - "Girare questo film non è stata una decisione, per me è stata una necessità. Non avevo mai rivelato questioni così personali nelle mie opere".
Parola di Roschdy Zem, regista e coprotagonista del film Les miens, in concorso nell'ultimo giorno della Mostra di Venezia prima della giornata di premiazione in programma domani.
Les Miens. Credits: Shanna BessonLa storia del film segue Moussa, che è sempre stato premuroso, altruista e disponibile nei confronti della sua famiglia, al contrario del fratello Ryad, presentatore televisivo di successo, criticato da parenti e amici per il suo egocentrismo. L’unico a difenderlo è Moussa, che prova grande ammirazione per lui.
Un giorno però una caduta accidentale provoca a Moussa un grave trauma cranico: ormai irriconoscibile, l’uomo parla senza filtri svelando agli amici e alla famiglia brutali verità difficili da accettare, e finisce per litigare con tutti, tranne che con Ryad. Un film che alterna momenti drammatici e comicità. "Il film è ispirato ad un fatto realmente accaduto nella mia famiglia", sottolinea il regista francese di origini marocchine.
"Quando il lobo frontale va a farsi benedire, si dicono cose vere senza mediazione. E succede di tutto. Il film parla anche di questo: fino a dove si può arrivare con le parole, con la sincerità? A volte la sincerità può anche distruggere una famiglia. Per me questo film è anche una sorta di allegoria sulla società moderna e sulle relazioni tra persone e anche con i media", aggiunge il regista, che nel film è il presentatore tv Ryad. Mentre nei panni del fratello cambiato dal trauma cranica c'è Sami Bouajila: "Poter dire tutto quello che si pensa è molto liberatorio", dice ridendo. Nel cast, i vari altri membri della grande famiglia messa a soqquadro dall'incidente ci sono Meriem Serbah, Maïwenn, Rachid Bouchareb, Abel Jafrei, Nina Zem, Carl Malapa, Anaïde Rozam, Lila Fernandez, Farida Ouchani.
"Attraverso il ritratto di una famiglia, ho voluto condividere drammi, conflitti, nevrosi, dolori e anche momenti di felicità, evitando distorsioni culturali o religiose, per me sempre troppo presenti quando si parla di una generazione di origine immigrata. La famiglia è un rifugio da cui si deve scappare, per potersi mostrare come si è. Questo film è la mia storia d’amore con la mia gente", conclude il regista.