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(Cinematografo.it/Adnkronos) - Solo il dialogo tra le parti salverà l'Iran dalla violenza, solo la speranza salverà l'umanità dalla fine. Il regista iraniano Vahid Jalilvand, in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia con 'Oltre il muro', sintetizza così il senso del film e della sua presenza al Lido.
Interpretato da Navid Mohammadzadeh, Diana Habibi, Amir Aghaee, Saeed Dakh, Danial Kheirikhah e Alireza Kamali il film è incentrato sulla storia di Ali, un uomo cieco, che sta cercando di togliersi la vita quando viene interrotto dal custode del palazzo in cui vive. Viene informato che la polizia sta cercando una donna in fuga che sembra essersi nascosta nell’edificio. Poco per volta, Ali scopre che la fuggitiva, Leila, si trova nel suo appartamento. La donna ha partecipato a una protesta operaia sfociata nel caos, ed è sconvolta per la scomparsa del figlio di quattro anni, avvenuta quando lei è stata allontanata a bordo di un furgone della polizia. A poco a poco, Ali si lega emotivamente a lei. Desideroso com’è di fuggire dalla realtà, aiutare Leila diventa un rifugio nel suo mondo di immaginazione.
"L'anello mancante del mondo moderno è l'amore e per trovarlo abbiamo bisogno di sacrificio e dignità", spiega il regista. "In tutto il mondo ogni giorno tutto si allea per farci perdere la speranza. Se l'umanità non si allea per mantenere viva questa speranza nel proprio cuore e nella propria mente, sarà persa. E in questo film l'andare avanti e indietro tra la realtà e la fantasia è proprio la battaglia per mantenere viva la speranza", aggiunge.
Un giornalista ricorda che nell'estate del 2021 il regista ha mandato un messaggio alle forze di sicurezza iraniane affinché deponessero le armi e chiede se il film abbia lo stesso messaggio. E lui replica subito: "Non volevo rispondere a domande politiche - premette Jalilvand - ma risponderò alla sua domanda comunque. La mia dichiarazione era collegata alla mancanza di acqua in Iran ma, come già è stato fatto sui social, lei ha interpretato che io dicessi abbassate le armi. Però nella stessa frase io chiamavo gli ufficiali delle forze di sicurezza 'fratelli'. E, in questo film, l'eroe è un membro delle forze di sicurezza". Quanto alla situazione in Iran, "è una situazione bipolare - aggiunge il regista - dobbiamo arrivare ad un equilibro tra le due parti: questo permetterà il dialogo. Non esiste solo bianco o nero. Con un riavvicinamento ci sarebbe meno violenza. Può dire che questa è la risposta che lo do perché vivo in Iran, lavoro in Iran e non voglio avere lo stesso destino dell'altro regista iraniano in concorso Panahi che è stato arrestato. Ma io chiamo voi miei fratelli e chiamo fratelli anche gli ufficiali di sicurezza. Questo è quello che credo. E continuerei ad esserne convinto anche se vivessi in Europa o negli Stati Uniti".
Anche gli interpreti declinano le domande politiche: "Risponderò solo a domande sul cinema", dice il protagonista Navid Mohammadzadeh a chi gli chiede se è difficile lavorare in Iran in questo momento. E dirotta la risposta sul suo lavoro per questo film: "Questo è un personaggio raro nel cinema iraniano. Sono orgoglioso di far parte di questo progetto. Ho perso 17 kg per entrare nel personaggio. È stata un'esperienza che mi ha aiutato anche a vedere chi amavo e chi ho intorno con altri occhi. Ha avuto degli effetti su di me come persona. Quando sono uscito dalla sala dopo aver visto il film finito ho iniziato a piangere. Tutti i sogni che avevo quando ho iniziato a fare questo lavoro si sono realizzati". Il regista ha guidato anche la protagonista feminile verso un'immedesimazione totale col personaggio: "Il regista mi ha chiesto di vivere come Leila, di sostentarmi con lavoretti, senza chiedere soldi alla famiglia. Poi ha voluto che trovassi io il bambino che faceva mio figlio nel film. Mia sorella mi ha visto due mesi dopo e quasi non mi riconosceva".