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“Da I pugni in tasca in cui ammazzavo mia madre sono arrivato adesso a ricordarla e rimpiangerla”. Ecco il percorso di crescita, maturazione e inevitabile invecchiamento spiegato da Marco Bellocchio alla luce di Fai bei sogni, il suo nuovo film - tratto dal bestseller di Massimo Gramellini - che ha aperto tra gli applausi la Quinzaine des réalisateurs del Festival di Cannes.
Senza paludate conferenze stampa, Bellocchio e i suoi attori (Valerio Mastandrea e Berenice Béjo) si concedono al pubblico e alle sue domande, partendo per esempio dalla fitta tela di riferimenti pop - artistici e sportivi - che costellano il film, storia di un uomo che deve fare i conti con la morte della madre, avvolta dal mistero. “Le immagini e le canzoni, lo sport e la tv d’epoca erano importanti non solo per dare il sapore di anni ’60 e ’70 in cui il protagonista cresce, ma anche per descrivere il suo immaginario. Per esempio il grande Toro e la tragedia di Superga lo legano al padre che gli pare distante, e diventano quasi un parallelo con la propria tragedia personale; ma anche lo sceneggiato Belfagor diviene per massimo un fantasma utile a superare il proprio dolore, perché è un ricordo vivo e pulsante del suo rapporto con la madre, tanto da permettere di lavorare anche formalmente su quel ricordo”.
Un film personale anche se parte da una commissione, in cui Bellocchio ha forse dato un giro di vite ad alcune sue ossessioni personali come il rapporto con la madre e quello con la fede: “Appena mi hanno proposto di realizzare il film, sono stato emozionato nel leggere il libro e nel riscoprirmi lì dentro”.
Il cuore di questi rapporti è espresso da Mastandrea, divertito nel cercare di parlare inglese per “fingersi attore internazionale”, e Béjo, quella che ha dovuto più combattere, soprattutto contro l’italiano: “Ho lavorato per settimane con un coach e pensavo fosse facile per me l’italiano, visto che una delle mie lingue madri è lo spagnolo; ma quando sono arrivata sul set a girare la prima scena con Valerio, un dialogo in cui da dottore gli facevo varie domande, non capivo nulla”. “Io dovevo dire ‘Dottore?’ e lei rispondere ‘Sì?’ - interviene Mastandrea -. Dopo dieci ciak, io dico ‘Dottore?’ e lei rispondeva sempre ‘Pronto’ oppure ‘Prego’!”. “E’ vero, ero un po’ stressata anche perché sono cresciuta con la fascinazione per il cinema italiano e Marco Bellocchio, ma la sua energia contagiosa mi ha tranquillizzata ed è stata un’esperienza fantastica”.
Prima di salutare, a Bellocchio pongono l’inevitabile domanda sull’assenza di film italiani in concorso e l’abbondanza in Quinzaine e il regista ne approfitta per parlare del cinema italiano in generale: “Il cinema in Italia è vivo, vitale, giovane e fresco, pieno di esordi e nuove idee anche perché le tecnologie stanno democratizzando i mezzi e reinventando i linguaggi come ai miei tempi era difficile vedere. Ma non chiedetemi di fare nomi, perché dimenticherei di sicuro qualcuno. E gli artisti sono suscettibili a queste cose”.