"La critica mi diede due, massimo due e mezzo. Mio padre mi disse: hai fatto un grande film, non preoccuparti perché il tempo è il miglior giudice". Col senno di poi bisogna dare ragione al papà di Carlo Verdone, il grande Mario ci aveva visto lungo: Compagni di scuola è diventato un must.
I fatti parlano chiaro: è un film che ha visto crescere di anno in anno la sua fama. Infatti l'ormai celebre commedia, uscita trent'anni fa, proprio ieri è stata presentata in versione restaurata dalla Laser Film ad Alice nella città, la sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma, davanti a un pubblico plaudente e ridente di giovani.
Una proiezione che è stata accompagnata dall'incontro, condotto dal critico Mario Sesti, con Carlo Verdone e Fabio Traversa, che nel film interpretava Piermaria Fabris. Tutti visibilmente emozionati di rivedere in sala questo lungometraggio del 1988.
E' un film immortale perché, come dice Verdone, racconta "le fragilità e le debolezze degli uomini. Non dei tempi. Proprio per questo sarà sempre attuale". Nel cast, oltre a Verdone e Traversa, vi erano: Athina Cenci, Eleonora Giorgi, Massimo Ghini, Nancy Brilli e Christian De Sica. Tutti partecipavano a una riunione di classe del liceo, quindici anni dopo dal loro diploma. Un incontro che prendeva una svolta malinconica dopo che ognuno di loro iniziava a rivelare le proprie insoddisfazioni.
Tra i tanti Compagni di scuola, fra cui c'era un Massimo Ghini nei panni di un politico cocainomane ("oggi non sarebbe il solo a tirare"), vi era anche un personaggio che poi fu levato: "Un prete che si toglieva la vita, ma poi ho pensato che sarebbe stato troppo drammatico".
L'idea di portare sul grande schermo questa rimpatriata è nata dopo una cena che Verdone fece nel 1983 con quelli della sua vecchia classe del liceo: la "mitica terza A". "Il ristorante era sulla Flaminia- racconta-. Poco dopo che ci siamo rivisti la serata è degenerata e abbiamo preso di mira quel poveretto al quale veniva sempre tirato dietro il cancellino. Diventò una situazione triviale e angosciante. Erano tutti avvocati, medici e via dicendo, eppure si comportavano in questo modo. Andando via uno mi tirò una fetta di melone gridandomi: oh alla prossima ce ristai sì? Christian De Sica non venne".
Dalla platea però si sente urlare: "Non m'avevano invitato!". E' la voce di Christian De Sica, anche lui in sala per assistere alla proiezione del film, nel quale interpretava Tony Brando, un cantante fallito e pieno di debiti. "Tu ti sei dato perché hai detto che era una cosa di una tristezza infinita", ribadisce Verdone.
Di fatto fu una rimpatriata dai tristi esiti che però diede vita a questo film corale nel quale Verdone si mise alla prova dopo aver diretto lungometraggi quali Un sacco bello (1980), Bianco, rosso e Verdone (1980), Borotalco (1982) e la commedia intima e borghese Io e mia sorella (1987).
"Un regista può essere bravo, ma un film non si fa mai da soli e io ho avuto un grandissimo cast", sottolinea Verdone. Tra questi c'era appunto Fabio Traversa, al suo primo film, che racconta: "Mi chiamò e mi disse: mi serve uno bravo. Termine che per me fu molto incoraggiante. Difficile intuire che sarebbe stato il boom che poi è stato. Nel film interpretavo un personaggio timido e schivo, proprio come sono io. Uno che non si sente mai all'altezza. L'unico gentile che si presentava alla villa con in mano un mazzo di fiori. E' uno che ha una grande dignità".
"Troppo triste, troppo logorroico e con troppa gente", lo definì Cecchi Gori che tirò il copione addosso a Verdone, ma poi alla fine gli disse: "Se lo vuoi fare, fallo" e lo produsse. Il film fu girato in nove settimane in un unico ambiente: la Villa dei Quintili. "Era di proprietà di Fiorucci, che non l'aveva mai data a nessuno. Il primo giorno delle riprese rompemmo un vaso, lui si arrabbiò e non ci fece più girare in quell'angolo della villa. Per me fu un dramma e pensai: io questo film lo sbaglio", racconta Verdone.
E poi: "Quando fu proiettato la prima volta al primo spettacolo c'erano dieci persone più o meno. All'epoca come numero non era male. Non avevo idea di come lo avrebbe preso il pubblico. I miei amici lo videro al cinema Metropolitan: lo trovarono duro e cinico e li colpì al cuore. Molti infatti mi chiamarono subito dopo chiedendomi se stavo bene".
Infine rivela che il giorno dell'ultimo ciak si fumò una sigaretta che fu "la più buona" della sua vita e si disse: "Ce l'ho fatta". E' proprio vero che ce l'ha fatta, e alla grande: la sala strapiena e i giovani che ridono e applaudono non fanno altro che riconfernarlo a distanza di trent'anni.