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Ripensare il valore culturale ed economico del film, fra sala cinematografica e piattaforme di streaming: è questo il tema del secondo appuntamento dell’Università Cattolica del Sacro Cuore nello Spazio FEdS alla Mostra del Cinema di Venezia.
“Si rinnova l’alleanza tra la Cattolica e la Fondazione Ente dello Spettacolo: le loro analisi accademiche e scientifiche ci aiutano a essere rigorosi e precisi – afferma Mons. Davide Milani, presidente della FEdS – e il tema proposto ci è particolarmente caro. Il nostro lavoro sui territori ci dimostra che iniziative come festival e rassegne mettono in moto processi culturali e generano effetti economici. E da parroco aggiungo che la sala cinematografica può valorizzare la pastorale”.
A introdurre l’incontro, Franco Anelli, magnifico rettore dell’Università Cattolica: “La nostra Università, tramite il Ce.R.T.A (Centro di ricerca sulla televisione e gli audiovisivi), dà continuità a una nobile tradizione di studi scientifici sull’audiovisivo. Riflettere sul valore culturale della sala è un’analisi non solo industriale ma attiene a una dimensione culturale, che ha a che fare con il valore della condivisione di un’opera e con la dimensione socioculturale della sua fruizione. L’abbandono delle sale non è solo un fenomeno commerciale ma anche il segno di un arretramento di un modello di fruizione corale dell’opera cinematografica come prodotto che scivola verso l’individualismo e forse la solitudine”.
Franco Anelli, Rettore dell_Università Cattolica del Sacro Cuore (ph. Stefano Micozzi)“Questo incontro è l’ideale prosecuzione del seminario tenuto nell’ambito di Castiglione Cinema – RdC Incontra – spiega Massimo Scaglioni, direttore Ce.R.T.A. – e arriva in un momento molto importante: siamo dentro una crisi che riguarda le sale più che il cinema. Molte e diverse le ragioni: troppi prodotti da valorizzare, il ruolo delle piattaforme, l’acuirsi di problemi già presenti prima della pandemia come il rapporto tra distribuzione theatrical e non, la debolezza del prodotto italiano, il nodo delle finestre, il tema della internazionalizzazione, la percezione del valore culturale del cinema, gli investimenti sulla formazione”.
Sulla sovrabbondanza del prodotto si concentra Marco Cucco, direttore Master in Management del Cinema e dell’Audiovisivo, Università di Bologna: “L’Italia è il sesto produttore di film e documentari al mondo, il primo in Europa. È certamente un sinonimo di vivacità e pluralismo, ma non abbiamo necessità di produrre così tanto, né abbiamo un mercato in grado di assorbire questi titoli. Il boom della produzione è l’esito di più cause: l’avvento del digitale che ha abbattuto i costi di produzione, gli incentivi fiscali, il tax credit. Non ha più senso andare verso un modello flessibile: dobbiamo pensare che la sovrapproduzione svalorizza il prodotto”.
Parte in causa fondamentale, il sistema delle sale: “Siamo riusciti a far capire che la sala è centrale – spiega Mario Lorini, presidente dell’ANEC – specialmente in questo momento di cambiamento senza paragoni. Si parla troppo di finestre, è fuorviante pensare che sia l’unico problema. Negli ultimi mesi la priorità è stata mettere in sicurezza tutto il sistema. Ora il nuovo parlamento, qualunque esso sia, potrà continuare il lavoro già iniziato sui nodi più importanti”.
“Mi interessa più l’attitudine del pubblico che la norma – riflette Riccardo Costantini di Cinemazero – ed è evidente che il già farraginoso sistema è andato in crisi. Non credo che il pubblico tornerà in sala, perlomeno non tutto quello che c’era prima. Il nostro è il più longevo cineclub italiano, a Pordenone riusciamo a fare numeri importanti con due festival come Le Giornate del Cinema Muto e Le voci dell’inchiesta, abbiamo creato una comunità che ha affollato le arene all’aperto ma che non sta tornando in sala”.
(da sinistra) Mons. Davide Milani, Massimo Scaglioni, Marco Cucco, Rettore Franco Anelli (ph. Stefano Micozzi)“Viviamo di volontari – spiega Gianluca Bernardini, presidente dell’ACEC – e molte delle nostre sale hanno avuto accesso al contributo pubblico. Non si tratta solo di un investimento economico ma anche di dare valore a spazi che spesso sono gli unici presidi culturali sui territori. Crediamo nel valore della sala come luogo sacro del film”.
Torna sulle risorse anche Domenico Dinoia, presidente della FICE: “Senza contributi pubblici le strutture non stanno in piedi, soprattutto considerando la batosta sui consumi. Il pubblico non sta tornando, c’è una disaffezione accentuata dalla pandemia. Ma anche la distribuzione non aiuta: usciamo da un’estate senza prodotto e ci prepariamo a momenti in cui ci sarà sovrabbondanza di film”.
E sul ruolo dei festival interviene Daniela Persico, direttrice artistica del Bellaria Film Festival: “Il pubblico segue un festival perché si riconosce nella linea artistica proposta, lo stesso dovrebbero fare le sale. I piccoli festival sono vitali quando incontrano il bisogno di un certo pubblico. Ci sono dei cattivi segnali che arrivano da Cannes e Locarno: pochi film italiani e nessuna opera prima e seconda. Inoltre si sta sviluppando una biforcazione tra chi ce l’ha fatta e chi è più fragile. I festival devono essere collettori di rete e comunità: se non lo fanno replicheranno cattivi risultati delle sale. E le piattaforme non sono il male: anzi, possono essere utili sia per l’educazione degli spettatori sia per ideare sinergie con le sale. Il pubblico del futuro sarà sempre più esigente”.