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“Tutto è nato quando al carcere di minorile di Roma, a Casal del Marmo, ho scoperto che c’erano due palazzine, una per i detenuti maschi, l’altra per le femmine. Che hanno il divieto assoluto di incontrarsi e non possono avere scambi di nessun tipo. Con gli altri sceneggiatori (Filippo Gravino e Antonella Lattanzi, ndr) siamo andati lì e abbiamo conosciuto molti ragazzi, praticamente si può dire che abbiamo scritto il film insieme a loro”. Questo è lo spunto che ha mosso Claudio Giovannesi a girare Fiore, il suo nuovo lungometraggio prodotto da Rita Rognoni e Beppe Caschetto insieme a Rai Cinema, presentato alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes, che Bim porterà nelle sale dal 25 maggio (a Roma e Milano), dall’1 giugno in tutta Italia.
Ambientato in un vero carcere minorile (“a L’Aquila, ristrutturato dopo il terremoto e non ancora rimesso in funzione”, dice il regista), il film – applaudito questa mattina alla prima proiezione del Theatre Croisette – segue la storia di due adolescenti, Daphne e Josh, entrambi detenuti: due stabili separati e l’impossibilità di incontrarsi, impareranno a conoscersi attraverso rapide e furtive conversazioni dietro le sbarre, e la loro relazione si alimenta con brevi occhiate da una cella all’altra o lettere clandestine.
Fiore“Quella della detenzione minorile è un’esperienza fortissima perché è un carcere a tutti gli effetti, l’unica cosa che cambia è data dal fatto che i poliziotti non indossano la divisa”, spiega ancora il regista. Che ancora una volta si affida a due protagonisti attori non professionisti, i giovanissimi Daphne Scoccia e Josh Algeri, ai quali affianca attori più noti come Valerio Mastandrea (è Ascanio, il padre della ragazza), Laura Vasiliu (nel film Palma d’Oro di Mungiu 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni), Aniello Arena (già protagonista in Reality di Garrone): “Abbiamo pensato subito a Mastandrea perché capace di garantire quel grado di verità pur essendo attore affermato e conosciuto, mentre per i due protagonisti abbiamo fatto un grande lavoro di ricerca. Alla fine, Josh lo abbiamo trovato perché già impegnato in alcune rappresentazioni teatrali organizzate nel carcere Beccaria di Milano, mentre Daphne l’abbiamo scoperta in una trattoria di Roma, a Monteverde, che serviva ai tavoli”, svela Giovannesi. Che non è stato un semplice regista per i due protagonisti: "Certo, è nato tutto un po' per caso anche se mi piace pensare che dietro ci sia un disegno più ampio. Sono stata scelta dopo un vero e proprio colloquio sulla mia vita, dal quale sono emersi punti di forte contatto sul personaggio che aveva in mente il regista", racconta Daphne Scoccia, 21 anni e un'avventura, quella del film, che non fa fatica a definire "terapeutica. Sì, perché fino a qualche tempo fa avevo anche problemi nel riuscire ad esprimermi di fronte alle persone. Una situazione simile, ad esempio, come parlare in pubblico in questo momento, sarebbe stato impensabile per me".
Josh Algeri in FioreAltre problematiche per Josh Algeri, 20 anni, un passato di reale detenzione (dal 2012 al 2014), già padre di una bambina: "Victoria, otto mesi, la mia vittoria più grande", dice. Ma al netto di un passato difficile, Josh si apre al futuro con ottimismo: "Fare questo film mi ha regalato emozioni stupende, con Claudio (Giovannesi, ndr) abbiamo lavorato molto a livello umano, per provare a tirare fuori quei lati positivi della mia personalità che magari gli anni di detenzione avevano finito per nascondere. E poi è nata una splendida amicizia con Daphne, che dura ancora oggi. E' vero, chi per un verso chi per l'altro, siamo due ragazzi che hanno avuto non pochi problemi, ma da questo film possiamo veramente dire sia sbocciato un fiore". Che adesso deve però essere annaffiato: "Stiamo lavorando su quello che ci aspetta in futuro - dice ancora Algeri -. Ora ho un agente, ma non è l'obiettivo primario che ho in questo periodo. Per adesso siamo qui, con la speranza che questo film possa essere visto da tanti ragazzi che, come noi, possano poi riuscire a superare delle difficoltà. Ci accorgiamo dello sfarzo, del lusso, di quello che può rappresentare il Festival di Cannes, ma non dimentichiamo però chi siamo e da dove proveniamo". Quel carcere dove il ragazzo è dovuto rientrare per "far finta" di essere un detenuto: "In alcuni momenti, anche per raggiungere il giusto grado di emotività che ci chiedeva il regista, ho ripensato ai giorni della mia detenzione. Ma, vi assicuro, rientrare in una struttura carceraria da uomo libero non è certo la stessa cosa".
"Qui a Cannes sappiamo che non è la realtà, questa è una giostra. La verità è altrove", dice Daphne Scoccia. Verità che, ancora una volta, diventa cifra attraverso cui il regista di Alì ha gli occhi azzurri e Wolf porta avanti la sua idea di cinema: "Quello che davvero ci interessava era mostrare il carcere come luogo che oltre alla libertà finisce per privare di molte altre cose. Nel caso specifico parliamo di adolescenti colpevoli di fronte alla legge, ma pur sempre innocenti per quello che riguarda la loro esistenza ancora genuina. Ed è solo così che possono pensare di portare avanti l'amore reciproco, pensando a quel momento, senza curarsi delle conseguenze come potremmo fare noi adulti", dice ancora il regista.
Daphne Scoccia e Valerio Mastandrea in FioreChe in Valerio Mastandrea - tornato a Cannes, sempre alla Quinzaine, dopo aver accompagnato Fai bei sogni di Bellocchio - ha trovato un alleato prezioso: "C'è stata una bella condivisione su alcune cose, come l'idea di quello sguardo finale con cui Ascanio dimostra di sapere chi è sua figlia, che la ama e che la lascia andare", dice l'attore, che aggiunge: "E' sempre bello quando i registi ti chiamano per ruoli di questo tipo: il padre della ragazza è un personaggio abbottonato su molte cose, se vogliamo un ruolo che doveva sbocciare, anche questo, strada facendo". E che in un momento particolare del film indossa una tuta con i colori sociali dell'Olympique Marsiglia: "L'idea della tuta è stata mia, mi piaceva rappresentare quelle persone che sembrano indossarla perché non vogliono costrizioni, rimando anche a certi personaggi visti magari nei film di Ken Loach. Per quanto riguarda i colori sociali, mi avevano proposto quelle di Manchester United e Liverpool, tute di squadre che per ovvi motivi, i dispiaceri che hanno regalato a noi romanisti, non avrei mai potuto indossare".