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“Questo Papa ha un linguaggio universale: parla sia ai credenti che ai non credenti. Tutto quello che dice dall’inizio alla fine mi appartiene. I suoi discorsi sono universali e i nostri politici dovrebbero imparare a farli”. Parola di Gianfranco Rosi che nel suo nuovo doc In viaggio, fuori concorso a Venezia 79 e in sala il 4 ottobre con 01 distribution, ripercorre i viaggi di Papa Francesco visionando i filmati che li documentano.
“Ho avuto una libertà assoluta- dice il regista-. Era un film che ero libero di fare o meno. Da 800 ore di materiale, ho selezionato alcune cose e sono passato a 200 ore. Ho seguito un percorso di libere associazioni, non cronologico o di luoghi. È un monologo del Papa. Quando è scoppiata la guerra ha fatto un viaggio a Malta e lì si è aperto e ha dichiarato le sue posizioni sulla guerra. A quel punto ho deciso di rimontare il film seguendo la cronologia e incredibilmente sono riuscito a cogliere i momenti più importanti dell’enciclica del Papa”.
Nove anni di viaggi raccontati in ottanta minuti (“Ho fatto un grande lavoro di sintesi e di sospensione”): dalle migrazioni (Lampedusa, 2013, Messico, 2016) alla povertà (le favelas brasiliane nel 2013 nel suo primo viaggio apostolico pastorale), dai conflitti nelle terre dimenticate (Repubblica Centraficana e Kenya, 2015) ai muri che ancora dividono (Palestina) e quelli sacri come il Muro del Pianto a Gerusalemme, dalle catastrofi ambientali (Filippine), ai genocidi subiti (Armenia) fino ai bombardamenti nucleari (Giappone).
“Tutti i miei film partono dal viaggio”, prosegue Rosi ricordando i suoi precedenti lavori quali Notturno (2020); Fuocoammare (2016); Sacro GRA (2013).
E sul materiale d’archivio: “Avrei voluto trasformare in linguaggio cinematografico filmati realizzati per esigenze televisive. Man mano che il montaggio andava avanti maturava però la necessità di far dialogare il racconto dei viaggi del Papa con i materiali degli archivi storici e con i frammenti di alcuni dei miei film. E infine volevo anche lavorare su nuove scene girate da me. È stato quasi uno sbobinamento delle sue encicliche”.
Tante le scene che lo hanno colpito e commosso. Su tutte, quella nelle Filippine dopo la tragedia del tifone, ma anche l’incontro con Erdoğan in Turchia e il suo viaggio in Canada nel quale il Papa ha chiesto scusa per quello che avevano fatto i missionari ai nativi. “Su ogni viaggio si potrebbe fare un film a sé stante”, dice e poi ci tiene a sottolineare: “Questo è un film aperto, in divenire. Se una settimana fa il Papa avesse fatto un viaggio sicuramente lo avrei seguito”.
Di sé stesso dice: “Non sono credente né praticante. Sono sempre stato distante dal mondo cattolico, ma mi ci sono avvicinato con umiltà e senza giudizio”. E poi aggiunge: "E non sono neanche un sognatore. Non ricordo mai i miei sogni”. Al contrario Papa Francesco che nel film nomina per ben quattro volte la parola sogno: “È bello che un uomo che rappresenta la religione dia importanza al sogno”, commenta. E ancora sul Papa dice: “Ha un approccio pastorale su tutto quel che dice, il suo sguardo è una guida. Non è politico e non fa mai proselitismo. Racconto un uomo di buona volontà. Sicuramente un uomo solo. Nella scena della grotta a Malta emerge tutta la sua solitudine: si alza, non vuole essere aiutato e lo vedi claudicante che sparisce dentro la porticina. Di questo Papa mi colpisce il silenzio, ma non sono riuscito a filmarlo nelle sue preghiere perché ovviamente è un momento intimo”.
Ma il Papa lo vedrà il film? “So che il Papa non vede i film su di lui. Non ha visto neanche quello che aveva fatto Wim Wenders (ndr. Papa Francesco - Un uomo di parola, doc del 2018). Comunque sono due film diversi: il mio ha una forza centrifuga che ti porta fuori dalle mura vaticane, il suo ha quella centripeta che ti porta all’interno delle mura. Per me è stato più semplice, è il ritratto di un uomo e di questo mondo”.
Infine conclude: “Questo è un film aperto perché la guerra è ancora aperta. Chissà se farà il suo famoso viaggio a Kiev”.