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Così lontano così vicino
Nel 1965 usciva presso McMillan, editore di New York, il libro di Harvey Cox, un giovane teologo quasi sconosciuto: The Secular City. In Italia lo tradusse Vallecchi tre anni dopo, nel 1968, con il titolo La città secolare, ed ebbe una grande accoglienza. Il libro in poco tempo si rivelò un successo internazionale, una sorta di vero e proprio manifesto di quella “teologia radicale” americana alla quale toccò molta fortuna.
Essa, prendendo spunto dalle riflessioni del pastore luterano Dietrich Bonhoffer – messo a morte dai nazisti nel 1945 nel campo di concentramento di Tagel – sulla condizione “adulta del cristianesimo”, arrivò a sostenere che il processo di secolarizzazione dell’Occidente rappresentava, fra le altre cose, una liberazione dei retaggi mitici della cultura cristiana, scomparsi nel nuovo genere di vita dei grandi centri urbani, caratterizzati dalla mobilità, dall’anonimato, la tendenza a stabilire relazioni umane superficiali. Per Cox il simbolo di questa nuova civilizzazione della “città secolare” si incarnava nell'affermazione dei nuovi mezzi della comunicazione tecnologica: televisione, telefono e soprattutto cinema.
In effetti Harvey Cox in La città secolare si soffermava sulla ricerca cinematografica di Jean-Luc Godard, ponendo l'accento sulla definizione del concetto di “anomia” (mancanza di leggi o di organizzazione) della società in piena fase di mutazione, presente ad esempio in alcune opere di Godard quali Made in Usa (1966) e Due o tre cose che so di lei (1967), film che presentano una precisa critica del moralismo borghese, caricatura della vera morale.
Se il cinema di Godard fotografa quel grande processo di secolarizzazione che ha caratterizzato l'Occidente nel XX secolo, Wim Wenders fa girare vorticosamente la sua macchina da presa, la fa scendere da vette altissime come nella sequenza d’apertura de Il cielo sopra Berlino (1987) – per catturare nella fredda logica delle sue inquadrature quel processo di riavvicinamento spirituale che sarà la vera sfida dell'umanità nel XXI secolo. Un secolo già cominciato, come giustamente osserva Krzysztof Zanussi, con la caduta del muro di Berlino. Wenders ha sentito la necessità di avvicinare direttamente questo epocale avvenimento anelando a girare proprio nella metropoli tedesca, dopo una non esaltante peregrinazione americana, Il cielo sopra Berlino, storia di angeli in cattività caduti sulla terra, impossibilitati a compiere la propria missione: soccorrere l'umanità.
“Il XXI secolo o sarà spirituale o non sarà”. Questa frase è di André Malraux. Ha convinto talmente Bernardo Bertolucci che l’ha posta come citazione d'apertura della sceneggiatura del Piccolo Buddha. E Wim Wenders sembra averla assunta come idea portante della robustissima impalcatura sulla quale sta costruendo la sua poetica cinematografica. Questa nuova ricerca stilistica Wenders l'ha iniziata con Il cielo sopra Berlino; è proseguita con Fino alla fine del mondo (1991) e con i 146 minuti di Così lontano così vicino, continuazione de Il cielo sopra Berlino, con i due angeli Cassiel (Otto Sander) e Damiel (Bruno Ganz), uscito in Italia nel dicembre 1993.
Gli angeli. Ancora una volta gli angeli. In Wenders ci sono gli angeli di cui parla Rilke, gli angeli che popolano i quadri di Paul Klee, l’Angelo della storia che passa sulle rovine del mondo di Benjamin. Ma fin qui siamo alla concezione degli angeli tipica di un cristianesimo “demitizzato”. Se si presta fede ad una teologia che trova in Rudolf Bultman il progenitore, nella quale il cristianesimo è depotenziato da ogni aspetto del mito considerato insopportabile – almeno questo è quanto si è ritenuto finora e a tutt’oggi si sostiene, come testimonia il successo editoriale dei teologi tedeschi Drewermann e Uta Ranke – per l’uomo d’oggi. Ma Wenders, nonostante la “demitizzazione”, crede negli angeli custodi della sua infanzia, crede nella loro fisicità, nel loro collettivo ruolo di annunciatori di pace, salvezza e speranza. E su di essi costruisce due film che disegnano un mosaico per comprendere il destino dell’uomo nel nuovo Millennio nato, metaforicamente, sulle macerie del Muro di Berlino.
Il cielo sopra Berlino è stato un film che ha annunciato la fine del XX secolo. Fino alla fine del mondo è un film che si interroga sul destino dell’umanità nella civiltà tecnologizzata. Così lontano così vicino è un film che si sforza di comprendere il presente nella sua drammatica realtà (non a caso una piccola parte tocca anche a Gorbaciov, che di questo presente è stato l’artefice). l tre film però sono legati da una medesima autentica tensione: la necessità di recuperare l'antica spiritualità messa a morte dall’universo tecnologizzato. L’ultimo cinema di Wenders, nella sua apparente laicità, ci insegna proprio questo: la riconquista dell’esperienza spirituale, nell’epoca del cristianesimo demitizzato.
*Questo articolo è stato pubblicato sulla Rivista del Cinematografo di gennaio 1994, pp. 26-27.