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Lu tempu di li pisci spata di Vittorio De Seta
In occasione del centesimo anniversario della nascita di Vittorio De Seta, pubblichiamo un estratto di Cinema tra contaminazioni del reale e politica di Mirco Melanco.
Se i registi demartiniani solcano le acque di rituali che hanno radici nelle tradizioni popolari più antiche di un’antropologia etnografica contaminata dalle popolazioni che hanno invaso il meridione nei secoli, due autori anagraficamente più anziani, il veneto Giuseppe Taffarel e il siciliano Vittorio De Seta (nati rispettivamente nel 1922 e nel 1923), con il loro cinema sociale portano lo spettatore in emisferi che riguardano una sociologia dal sapore ancestrale, non legata a riti o a superstizioni, ma principalmente al mondo del lavoro contadino e alle usanze ancora praticate nonostante il periodo di grandi cambiamenti dovuti al boom economico.
Si tratta di due autori autonomi che hanno comuni ideali politico-culturali, s’incontrano, si frequentano e si stimano, fino a diventare amici nella Roma cinematografica neorealista del secondo dopoguerra. Affascinati dalla medesima idea di cinema legato al reale, prima la evolvono insieme teoricamente, poi una volta ritornati nei luoghi natii la mettono in pratica. I loro documentari, pur partendo da un’idea comune basata sul concetto politico di giustizia sociale e di attenzione per il proletariato, si trasformano in due forme di produzione per alcuni aspetti antitetiche che daranno forma a stili autoriali originali: per questo motivo i loro cortometraggi sono formalmente diversi, anche se alla base trattano argomenti analoghi con una sensibilità artistica di rara profondità introspettiva.


Isole di fuoco di Vittorio De Seta
Nei cortometraggi girati da De Seta dal 1954 al 1959 prevale l’aspetto del grande affresco sociologico. Spesso una didascalia a scroll iniziale indirizza lo spettatore sui contenuti del film, mentre i suoni originali, registrati dal vero, sono montati fuori sincrono (utilizzando il registratore Majak) e funzionano perfettamente per dare un senso finito al racconto, come in precedenza aveva fatto Riefenstahl in Trionfo della volontà e, prima di lei, Vertov in Entusiasmo o, ancora, Grierson e Anstey in Granton Trawler.
Naturalmente guardando il finale di Lu tempu di li pisci spata (1954) ci si accorge che il labiale non coincide con il canto del pescatore, ma cosa importa alla costruzione del racconto se i suoni sono quelli diegetici e non ricostruiti in studio? Grazie a tali riprese ancor oggi possiamo assistere alla pesca del pesce spada con l’arpione, come per centinaia di anni si era fatto. Da lì a poco, con i cambiamenti tecnologici generati dal boom economico che influenzano ogni settore merceologico, compresa la pesca, sarà impossibile riprendere avvenimenti di tale suggestione.
I suoi cortometraggi sono particolari anche per l’assenza della voce narrante, il cui uso era consueto nel cinema documentario sonoro dell’epoca: questo fatto genera uno stile autonomo basato sul montaggio e sull’uso dei suoni diegetici (sebbene fuori sincrono). De Seta si autoproduce e questo fattore diventa basilare per lo sviluppo della sua autonomia discorsiva: i cortometraggi sono unici perché realizzati autonomamente, fuori dal normale canale distributivo. Mostra allo spettatore panoramiche del lavoro contadino, viste da una distanza prospettica sempre funzionale all’estetica del suo cinema, fondato principalmente sulla volontà di descrivere realtà rurali e popolari.


Contadini del mare di Vittorio De Seta
Il risultato è un incontaminato prodotto selettivo che piace alla critica, la quale lo consacra premiando Isole di fuoco (1954) come miglior documentario al Festival di Cannes del 1955. Nei cortometraggi del regista siciliano alle splendide riprese realizzate in CinemaScope, i cui colori accesi si sposano perfettamente con la calda luce delle cromature siciliane, si associa il ritmo di un montaggio studiato su tempi come se si seguisse il fluire di una sinfonia musicale interna al racconto: le immagini inizialmente scorrono lente per mostrare l’ambiente nel quale sarà girata l’azione, quasi l’indagine etnografica avesse bisogno di un tempo preciso per scoprire il paesaggio antropomorfico; poi in modo costante il ritmo inizia a montare mentre la lunghezza della singola inquadratura si riduce, il montaggio stringe i tempi di visione e le scene avvolgono lo spazio filmico; si arriva così al compimento del momento drammatico, il lancio dell’arpione, che colpisce mortalmente il pesce spada (in Lu tempu di li pisci spata). Al momento di massima energia potenziale espressa dall’immagine, segue un istante di sospensione sonora: si tratta di variazioni ritmiche calcolate che il regista propone per intensificare la drammaticità del momento.
Tale modus operandi si ripropone dopo le immagini di una natura in tumulto in cui una tempesta e una eruzione vulcanica spingono gli abitanti del luogo a chiudersi nelle loro case per proteggersi dagli eventi naturali (Isole di fuoco); oppure viene utilizzato per sottolineare il pericolo del crollo di una trave che terrorizza per qualche secondo gli operai all’interno della miniera (Surfarara, 1955). Superato il momento topico De Seta ferma l’immagine, sospende il racconto e la tensione rimane forte per qualche istante, poi si ritorna alla natura, alla normalità, i ritmi di montaggio si smorzano e il prevalere dei piani sequenza riporta alla naturale vita di ogni giorno, così come il cortometraggio era iniziato.
Uno stile comune di raccontare l’evento contraddistingue questi film così intensi, con inquadrature che avvolgono il soggetto da diversi punti prospettici, alternando primi piani a primissimi piani nei momenti nei quali l’emozione giunge alla massima intensità, dando allo spettatore l’effetto di essere coinvolto in quell’azione e di essere parte integrante di quei mondi perduti.