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Vinicio Marchioni
“Non so come sono come scrittore, ma so di essere un grande lettore”, così si autodefinisce Vinicio Marchioni che ieri in dialogo con Federico Pontiggia ha presentato al Lecco Film Fest il suo libro Tre notti, edito da Rizzoli. In realtà l’attore, divenuto noto al grande pubblico soprattutto per il ruolo de Il Freddo in Romanzo Criminale, non ama le definizioni: “Non mi piacciono le definizioni. Le ho sempre detestate sul giornale una volta uscì un articolo con il titolo: il Freddo legge Jonathan Franzen. È un personaggio che mi ha dato tantissimo, ma mi hanno fin troppo identificato con lui. Io sono un attore e ho fatto degli studi classici. Ho cercato anche di svuotare di significato dei luoghi comuni dall’interno come la periferia romana e i criminali”.
Nato e cresciuto a Fidene proprio alla periferia di Roma racconta: “Le periferie sono piene di brave persone solo che non se ne parla mai perché fa più presa il male nel mondo. In questo libro mi andava di parlare di persone che pur crescendo in un posto difficile sono brave persone”.
E sulla trama di Tre notti: “Racconto la storia di una perdita. È un romanzo che prende spunto da qualcosa di autobiografico, ovvero la morte di mio padre. Poi ho cercato di ampliare questo tema. Ho provato quindi a raccontare l’adolescenza e il rapporto tra un padre e un figlio. Tutto è nato durante un trasloco, c’erano tanti scatoloni e in uno di questi ritrovai dei vecchi diari. Riaprendo quelle pagine ho ritrovato un ragazzetto di diciassette anni, più o meno dell’età del mio protagonista e rivissuto lo sturm und drang dell’adolescenza. Leggendo quelle pagine ho provato grande tenerezza e allo stesso tempo una certa distanza perché mi sembrava di leggere qualcosa di qualcun’altro”. E poi: “Volevo anche parlare del maschile nel mondo. Nel 2024 dobbiamo ragionarci un po’ su questo tema. Ho scelto di ambientarlo nel 1991, non solo perché è la data di morte di mio padre, ma perché si poteva ancora parlare liberamente. C’era ancora voglia di costruire, abbracciarsi e immaginare un futuro migliore. Non c’era ancora il politicamente corretto e tutto quello che è successo dal 1992 in poi come Tangentopoli. E nel 1994 la discesa in campo di Berlusconi. Ho potuto fare parlare i personaggi in modo molto diretto. Il maschilismo è un problema culturale che dobbiamo analizzare partendo da chi siamo. Volevo anche in modo umile mettere sul tavolo quello che dobbiamo recuperare di buono dell’essere umano e quel che dobbiamo buttare al secchio”.
Protagonista del film di Paola Cortellesi, campione di incassi, ovvero di C’è ancora domani nel ruolo del meccanico Nino, l’amore di un tempo di Delia, la protagonista alla quale ha dato volto la stessa attrice impegnata anche come regista. “Nessuno si aspettava questo risultato eccezionale del film. Neanche Paola. Quando mi ha mandato la sceneggiatura, che ha inviato senza il finale, ho capito che avevo in mano un’opera d’arte. Paola è un genio e il film ha intercettato una serie di problemi della società italiana compresa la tragedia di Giulia Cecchettin. Come uomo non posso sopportare che si ripetano una volta ogni 72 ore dei femminicidi”.
Il libro di Vinicio Marchioni è dedicato ai suoi figli, e a Milena Mancini, sua moglie, con la quale ha lavorato spesso insieme. Quale il segreto di questa sinergia? “È un mistero come la fede. D’altronde se ami non ti fai domande. Siamo completamente diversi. Il nostro rapporto è fondato sul rispetto reciproco e sulla stima. È un’attrice pazzesca. Io sono l’idraulico dentro casa la vera artista è lei e lei dice la stessa cosa di me. C’è un ascolto profondo tra noi. Se lei mi dice qualcosa mi si accendono i riflettori e poi sogniamo in grande non riusciamo a piegarci alla mediocrità. Non ci accontentiamo mai. Lei è una donna granitica che trattiene le emozioni. Ma quando ha letto il mio libro ha pianto”.
Infine di sé stesso dice: “Come attore ho interpretato il coatto romano in tutte le salse. Ora vorrei fare il professore di Oxford, ma non so se ho la faccia adatta”. Magari però lo vedremo presto dietro la macchina da presa come regista del suo libro: “Chissà. Tanti lettori e lettrici mi dicono che è scritto in modo molto cinematografico. Questo mi fa molto piacere. Rileggendolo mi sono reso conto che era come se mi fossi messo dal punto di vista della macchina da presa”.