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Francis Ford Coppola a Cannes 77 - Foto Karen Di Paola
Era il 1946, l'immediato dopoguerra, il Festival di Cannes aveva avuto solamente un'edizione, la prima, nel 1939, poi per ovvi motivi una pausa forzata dal conflitto mondiale.
Quell'anno, il 1946 (e sarebbe stato così fino al 1954), la Palma d'Oro ancora non esisteva, veniva assegnato il Grand Prix du Festival International du Film: in realtà ne veniva assegnato più di uno, a film diversi divisi per categorie.
Ebbene, nel 1946, tra i tanti film ad ottenere quel riconoscimento c'era anche Neecha nagar di Chetan Anand (alla sua opera prima), finora unico regista indiano ad aver mai vinto a Cannes.
Oggi, 78 anni dopo, l'ambito riconoscimento potrebbe sventolare nuovamente bandiera indiana, ancora una volta con un'opera prima, All We Imagine As Light, della regista Payal Kapadia, qui all'esordio nella finzione dopo qualche documentario realizzato.
E l'eventuale Palma d'Oro per questo film non sarebbe - da parte della giuria presieduta da Greta Gerwig - "semplicemente" il voler premiare un film "diretto da una donna, incentrato su due (più uno) personaggi femminili", no, sarebbe una scelta condivisibile in primo luogo dal punto di vista artistico, poetico, emotivo.
Certo, sarebbe altrettanto condivisibile - e dubitiamo qualcuno potrebbe aver qualcosa da ridire - assegnare la Palma d'Oro a The Seed of the Sacred Fig di Mohammad Rasoulouf (sempre ammesso che la Giuria non si preoccupi di finire in diatribe di natura “politica”), in primis perché il film - seppur rivedibile per alcune scelte nella seconda parte - oggi come oggi sa restituire il grado di angoscia e paranoia vissute in Iran, dall'altra per celebrare un cineasta (condannato a 8 anni di prigione in patria) che è riuscito non solo a fuggire da quella tremenda e ingiusta pena, ma a raggiungere addirittura il Festival per poter accompagnare la sua opera, realizzata ovviamente in clandestinità.
C'è poi un'altra Palma da tenere in forte considerazione, ed è quella che potrebbe regalare un doppio primato a Francis Ford Coppola: l'eventualità lo porterebbe ad essere il primo regista nella storia del Festival a vincere 3 Palme d'Oro (dopo La conversazione, 1974, e Apocalypse Now, 1979) e il regista più anziano di sempre (85 anni) ad affermarsi al Festival.
"Artisticamente" parlando sarebbe il verdetto più divisivo che ci si possa attendere, considerando quanto Megalopolis sia stato capace di spaccare in due il giudizio di critici e addetti ai lavori: si passa alla Storia soprattutto così, però, com’era che dicevano? Divide et impera…
Detto questo, a poche ore dalla cerimonia di premiazione la sensazione è che in palmares potrebbero/dovrebbero finirci anche Emilia Pérez di Jacques Audiard (si farà la storia anche qui? Magari con il premio per l’attrice trans Karla Sofía Gascón...), The Substance di Coralie Fargeat (anche qui, o qualcosa al film o alla protagonista Demi Moore), Anora di Sean Baker (sceneggiatura?, l’esplosiva protagonista Mikey Madison), Bird di Andrea Arnold (il solito premio della Giuria per la regista britannica?).
Molto difficile pronosticare chi si affermerà come migliore interprete maschile (anche perché non è facile trovare una performance così memorabile in questo concorso, eccezion fatta – per chi scrive – per lo straordinario Karren Karagulian, “l’armeno” in Anora), alla fine la scelta potrebbe finire sul Ben Whishaw di Limonov o il Sebastian Stan di The Apprentice.
Infine, capitolo Italia: al momento Parthenope di Sorrentino sembra fuori da qualsiasi discorso, resta da capire se Grand Tour di Miguel Gomes (tra i produttori la Vivo Film di Donzelli e Paonessa) o Marcello mio di Christophe Honoré (tra i produttori la Lucky Red di Occhipinti) riusciranno ad intrufolarsi nel palmares.