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da sinistra Peter Ettedgui, Matthew Reeve e Ian Bonhôte
“Non sono un eroe, mai lo sono stato e mai lo sarò”. Così Christopher Reeve per tutti Superman confessa nell’intimo documentario (dal titolo Super/Man: The Christopher Reeve Story), diretto da Ian Bonhote e Peter Ettedgui, e presentato ad Alice nella Città in occasione del ventesimo anniversario della morte dell’attore e ora nelle sale italiane con Warner Bros.
In realtà Reeve, il più grande supereroe del grande schermo, suo malgrado dopo la terribile caduta da cavallo nel 1994 che lo rese tetraplegico, un eroe lo è diventato “nella vita reale” come dice il maggiore dei suoi tre figli, Matthew, venuto a Roma proprio per presentare questo doc, iniziato tre anni e mezzo fa e pieno di filmati d’archivio e amatoriali.
“Erano etichettati tremendamente e avevano tanti diversi formati. Mio padre aveva comprato questa telecamera quando era tornato a vivere negli Stati Uniti lasciando me e mia sorella Alexandra in Inghilterra con nostra madre (ndr. Gae Exton, in seguito nel 1992 Reeve si sposò con Dana Morosini dalla quale ebbe un altro figlio, William). Eravamo piccoli e voleva in qualche modo mantenere il contatto con noi”.
E poi: “Non volevamo fare qualcosa di zuccheroso e mettere mio padre su un piedistallo. Al contrario volevamo fare qualcosa di onesto che guardasse a lui con realismo”, specifica consapevole che il rischio era dietro l'angolo. Da star hollywoodiana all’incidente che lo ha lasciato sulla sedia a rotelle paralizzato dal collo in giù l’iconico SuperMan è diventato poi un leader carismatico e attivista nella ricerca di una cura per le lesioni del midollo spinale, sostenuta attraverso una propria fondazione (la Christopher Reeve Paralysis Foundation) nonché un appassionato sostenitore dei diritti e della cura dei disabili, il tutto mentre continuava la sua carriera nel cinema, davanti (come nel remake di uno dei più celebri film di Hitchcock: La finestra sul cortile) e dietro alla macchina da presa.
“La Fondazione a distanza di vent’anni sta ancora andando molto bene -racconta Matthew-. All’epoca dell’incidente di mio papà non c’erano molti studi di ricerca sugli infortuni del midollo spinale. Erano considerati in un certo senso il cimitero della neuroscienza. Era come un vicolo cieco e qualcosa che non aveva soluzioni. Ora invece ci sono persone che hanno una lesione del midollo spinale, ma che poi riescono ad alzarsi e a camminare a seguito dei vari trattamenti. Oggi la Fondazione ha dato circa 150 milioni di dollari alla ricerca e circa 10 milioni al programma sulla qualità di vita, cosa a cui Dana teneva molto (ndr. Christopher e sua moglie Dana fondarono un centro nel quale veniva insegnato ai paraplegici a vivere in maniere il più indipendente possibile)”.
Nel doc tante star di Hollywood, molto vicine a Christopher, in primis Robin Williams e sua moglie Marcia, ma anche Glenn Close, Susan Sarandon e Whoopi Goldberg. E tante scene che rimangono impresse, su tutte quella della sua prima apparizione pubblica dopo l’incidente, agli Oscar seguita da una standing ovation che fece storia. “Lui era mio papà - dice Matthew-. Era anche il mio super eroe. Penso che molte persone vedano i loro papà come i loro super uomini in un certo senso. Gli altri bambini lo avevano visto sul grande schermo e sapevano chi era. Quando ero piccolo e andavo al parco giochi lui veniva circondato da bambini che gli chiedevano l’autografo o volevano farsi una foto con lui”.
D’altronde Reeve aveva interpretato l’Uomo d’Acciaio in ben quattro film di Superman tanto che nel doc scherzando parla di “sequelite”, ovvero di “una brutta malattia di cui soffre Hollywood”. E ancora Matthew racconta: “Quando ebbe l’incidente sua moglie Dana andò in terapia intensiva e gli disse: ‘Tu sei ancora tu e io ti amo’. Lì iniziò la sua trasformazione nella vita reale, come una specie di super eroe che non ha bisogno di super poteri. Il suo medico, il dottor Blum, ci disse che aveva perso tutto, ma aveva ancora il cuore, la mente nitida e la voce. E lui riuscì ad usare queste tre cose incredibilmente”.
E Ian Bonhote e Peter Ettedgui: “Questo è un film sulla famiglia, sull’amore e anche un film che incarna il più grande super eroe su uno schermo diventato poi un eroe nella sua vita reale. Aveva la volontà, lo spirito e la determinazione per continuare ad andare avanti. E capì che cosa significa veramente essere un eroe: una persona ordinaria, normale, che va avanti e resiste nonostante le avversità e gli ostacoli terribili”.
Su un possibile Superman dei nostri tempi, o meglio su quello che servirebbe oggi: “Avremmo bisogno di imparare ad ascoltare e non solo parlare. E bisogna guardare ai giovani e all’ecologia”, concludono i due registi, che questa sera insieme a Matthew incontreranno il pubblico prima della proiezione speciale al Cinema Adriano organizzata da Alice nella Città, un evento in collaborazione con l’Assessorato Grandi Eventi, Sport, Turismo e Moda di Roma Capitale.