PHOTO
Fratello, dove sei? dei fratelli Coen - WEBPHOTO
“Dice Dio: tre le virtù mie creature.
La Fede è una Sposa fedele, la Carità è una Madre.
La Speranza è una bambina da nulla. Eppure è questa bambina
che traverserà i mondi. Lei sola, portando le altre,
che traverserà i mondi compiuti.
Il popolo cristiano non fa attenzione che alle due sorelle grandi
e non vede quasi quella che è in mezzo, la piccola,
quella che va ancora a scuola.
Ciechi che sono che non vedono invece che è lei nel mezzo
che si tira dietro le sue sorelle grandi e che senza di lei loro
non sarebbero nulla.
È lei, quella piccina, che trascina tutto perché la Fede
non vede che quello che è.
E lei vede quello che sarà.
La Carità non ama che quello che è. E lei, lei ama quello che sarà.
Dio ci ha fatto speranza”.
Così nel 1910 il letterato Charles Peguy, da tre anni “ritornato alla Fede cattolica” (morirà in guerra nel 1914), presenta la speranza con rara efficacia nel poema Il portico del mistero della seconda virtù.
Una virtù bambina, spesso non considerata, che non può esistere da sola ma che ha la forza di trascinare le virtù sorelle: fede e carità.
La speranza guida con quella sicura ed entusiasta freschezza, spesso scambiata per ingenuità, l’esistenza di chi a lei si affida, consentendo di porre passi sicuri, certi, anche nei tornanti più pericolosi del sentiero della vita.
Perché “la speranza non delude” (Lettera ai Romani, 5,5) come ricorda papa Francesco nella Bolla di indizione del Giubileo che stiamo celebrando, illuminato proprio da questa virtù.
C’è un film, sorprendente per il divario tra leggerezza dei toni e la profondità dei temi, che sembra scaturire dalla fecondazione dell’intuizione di Peguy con il motto di San Paolo: Fratello dove sei (O Brother, Where Art Thou?) di Joel e Ethan Coen, in concorso a Cannes nel 2000, interpretato tra gli altri da George Clooney, John Turturro, John Goodman e Tim Blake Nelson.
Criminale chiacchierone condannato ai lavori forzati nel Mississippi degli anni ‘30 del secolo scorso, Everett Ulysses McGill riesce a fuggire dai lavori forzati insieme a Delmar, timido e ingenuo, e Pete, confuso e disadattato. Dopo aver vagato senza meta McGill cambia la prospettiva del gruppo: dice di conoscere un tesoro sepolto e che ci sono solo quattro giorni per recuperarlo, prima che l’acqua di una diga artificiale ricopra tutto. La speranza di questa meta rianima il cammino dei tre e dona senso al cammino.
Sulla loro strada, simbolo del percorso della vita, scoprono tratti differenti dell’umanità: un gruppo di fedeli battezzati nel fiume; un nero che ha venduto l’anima al diavolo per suonare la chitarra. Incideranno un disco, parteciperanno a una rapina, subiranno un furto da un venditore di bibbie, cederanno alla seduzione di tre “sirene” canterine, saranno coinvolti nella campagna elettorale di un politico poco raccomandabile…
Ma alla fine si scoprirà che il desiderio di McGill è ben altro e ben oltre. Il suo atteso tesoro non è economico ma consiste nella speranza di riconquistare la moglie e le figlie. McGill comprende che non può salvarsi da solo, la speranza in solitaria è inefficace. Ha bisogno – come ci ha spiegato Peguy – della carità (la ragionevole solidarietà reciproca tra i tre in fuga) e della fede (la convinzione della bontà salvifica delle loro azioni) ma a trascinarlo è la speranza del ritorno a casa. Il vero prodigio non si cela dietro a delle monete, ma è nel miracolo semplice della vita, nel calore della famiglia, dell’ex moglie Penelope e delle sei figlie.
Cosa muove la speranza? Ogni esperienza della vita non si esaurisce in sé stessa ma porta scritto in sé (come direbbe Ungaretti) un “più in là”, oltre il proprio significato particolare. Ogni circostanza, ogni azione, ogni relazione costituiscono per l’uomo un appello, sono una scintilla che può riaccendere nel cuore il desiderio del senso, il desiderio di Dio. Questa è la speranza che ci conduce, questo il cammino che auguriamo a chi vivrà l’avventura del Giubileo.
Il sussidio che Fondazione Ente dello Spettacolo ha redatto insieme a Commissione Film CEI e ACEC ne è un contributo, così come il lavoro di don Davide Brambilla che dalle pagine della Rivista del Cinematografo scandirà l’Anno Santo con alcune proposte di visione sul tema della speranza: dieci titoli molto originali con cui mettersi in cammino. In quel grande pellegrinaggio dello sguardo che amiamo chiamare cinema.