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Tutto chiede salvezza © 2022 Netflix, Inc.
In un momento in cui si parla molto di “merito”, inteso nei termini di una retorica tossica che finge di dimenticare le disuguaglianze di partenza (esistono ancora, eccome se esistono) e sembra ignorare gli incidenti nei percorsi nei quali ognuno di noi può incappare, non sorprende il successo di Tutto chiede salvezza. E rincuora. Perché prende di petto qualcosa che fino a pochi anni fa rappresentava un tabù: il disagio mentale.
È vero, il cinema italiano ha spesso costeggiato questo tema, pensiamo a Marco Bellocchio, Marco Ferreri, Silvano Agosti. Ma sono autori che fanno parte di una generazione legata alla lezione e alle battaglie di Franco Basaglia, alla psichiatria vissuta come lotta all’esclusione nella società. Dopodiché i “matti” (che siete voi, cioè noi, direbbe De Gregori) sono rimasti esclusi dal discorso, un po’ perché si fatica a collocarle in certi discorsi troppo codificati e un po’ perché – ammettiamolo – fa paura confrontarsi con i propri abissi.
Il fatto che Tutto chiede salvezza adatti un memoir (di successo) non è casuale: c’è un’esperienza diretta, quella di Daniele Mencarelli, riletta da un autore, Francesco Bruni, il migliore narratore di giovani del cinema italiano nonché uno che conosce – per citare un altro libro, bellissimo, sulla salute mentale, firmato dallo psichiatra Paolo Milone – l’arte di legare le persone. Un dato autobiografico che costituisce la chiave per raccontare l’ampio spettro del disagio, da quelli più gravi perché “visibili” a quelli più perturbanti perché sommersi o meno “esteriori”.
Nella realtà,
Mencarelli, in seguito a un episodio psicotico, venne ricoverato in regime di TSO, nell’estate dei mondiali del 1994; la serie sposta la vicenda ai giorni nostri, incentivando il coinvolgimento del suo pubblico ideale, che è quello che per anagrafe ed emozioni si riconosce nel protagonista. È Federico Cesari, un bravissimo attore emerso con una serie, Skam, che più di ogni altro prodotto mediale ha dialogato con i sogni e i bisogni di una generazione. Di quei ventenni che – giova a ricordarlo – sono coloro maggiormente feriti dalla pandemia, dal confinamento coatto all’inquietudine di fronte al ritorno alla socialità spesso complicatissimo.Non è un caso che un anno fa lo stesso pubblico si sia rispecchiato in un’altra storia di Netflix, Strappare lungo i bordi: con ironia e leggerezza, Zerocalcare toccava temi complessi come la fragilità, l’inadeguatezza, lo spaesamento, il suicidio, proponendo una via d’uscita per accettare il male nella quotidianità. E non è un caso che uno degli album più venduti e ascoltati dell’ultimo anno, Noi, loro, gli altri di Marracash si concentri su temi affini: le dipendenze, l’insonnia, la frammentazione dell’io, il disagio psichico.
Al di là del suo valore artistico (ottimo), Tutto chiede salvezza – che vanta una title track di Side Baby, figlio di Bruni, altro artista sensibile a queste tematiche – dimostra il disperato bisogno di storie che non si vergognano di guardare in faccia qualcosa che è presente nel nostro quotidiano. E che riguarda tutti, non solo chi, in una torrida estate, si ritrova in un reparto di psichiatria a combattere con i propri demoni.
Tutto chiede salvezza
un sasso sopra il cuore
sono stanco di star male
non respirare
pianta di radici senza foglie, frutta e fiori
cerco luce per salvarmi, per tornare a respirare