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Audrey Hepburn in un ritratto di Marco Letizia
Nel primo episodio del cult Sex and the City, andato in onda nel giugno del 1998, il monologo d’apertura della protagonista Carrie Bradshaw (una Sarah Jessica Parker non ancora canonizzata nel novero delle fashion icon) è dedicato, ovviamente, alla città di New York e al fatto che si stia vivendo una sorta di era dell’anti-innocenza, in cui nessuno fa colazione da Tiffany o ha storie da raccontare.
Lei è stata in assoluto la prima newyorkese (d’adozione) a sbocconcellare un croissant davanti alle vetrine della celebre gioielleria, nell’alba surreale di una Fifth Avenue deserta, indossando uno splendido abito da sera nero incorniciato da fili di perle e diamanti sulla scollatura.
Inutile dire che stiamo parlando della sofisticata Holly Golightly di Colazione da Tiffany (1961), il personaggio che consegnò alla mitologia cinematografica (e non solo) la filiforme diva Audrey Hepburn. “Io vado pazza per Tiffany: specie in quei giorni in cui mi prendono le paturnie», racconta Holly al suo nuovo vicino di casa, il giovane scrittore in crisi Paul Varjak (George Peppard). Quando lui le chiede se avere le paturnie significhi essere triste, questa superba creatura risponde: “No, uno è triste perché si accorge che sta ingrassando, o perché piove. Ma è diverso. No, le paturnie sono orribili: è come un’improvvisa paura di non si sa che…”. L’ansia provata da Holly – una ragazza libera e piena di vita che si mantiene facendosi invitare a cena e pagare la toeletta da un numero imprecisato di “vermi” e “supervermi” – è quella di chi non è in sintonia con la morale sociale, di chi rifiuta le gabbie e le convenzioni, di chi non vuole appartenere a nessuno, men che meno agli uomini, e non vuole possedere alcunché, nemmeno una casa o un gatto.
Nata dalla penna di Truman Capote e riplasmata attraverso il genio commedico del regista Blake Edwards e lo stile inconfondibile degli abiti di Hubert de Givenchy, la donna Holly-Audrey, quarant’anni prima di Carrie Bradshaw, si fa evento (mondano), espressione massima dell’età dell’innocenza, della leggerezza e del fascino, ridefinendo i canoni iconografici del vivere metropolitano. Una it-girl ante litteram, la cui immagine ha sancito i termini originali del rapporto tra New York e il mondo della moda. E che, a trent’anni dalla morte, avvenuta il 20 gennaio 1993 a Tolochenaz (Svizzera), non ha ancora trovato eredi.