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Essere e avere
Qui Erich Fromm con la sua progettualità esistenziale suddivisa tra “possesso” o “libertà”, non c'entra: la “e” fa differenza.
Nicolas Philibert, firmando un gioiello come Essere e avere, dichiara una fiducia serena e strenua nel percorso entro il quale l’essere umano acquisisce la conoscenza strumentale per affrontare dolori e gioie della vita. Anche qui troviamo un racconto “morale”, oltre la morale, in quattro stagioni: dall'inverno nevoso all’estate delle vacanze.
Una scuola nell’Auvergne; tredici bambini di diversa età – la classe unica come riferimento simbolico alle diverse età in cui si apprende ciò che si diventerà –; un maestro non attore, George Lopez, pedagogo non solo degli altri, ma prima di tutto di se stesso, che in una “vera” confessione matura, presso noi spettatori, un rango di assoluto prestigio.
Un anno scolastico fluttuante delimitato dal quotidiano svolgersi delle proprie mansioni e doveri. Philibert non deborda nel sentimento, non impegna la memoria, non gioca sugli affetti, anche quando uno dei suoi allievi affronta il tema della sofferenza e della morte, dialogando “de rerum natura” e “de rebus vitae”.
Non è un verista né un idealista che fa una spesa grossolana al mercato dell’arte e della vita. Stempera l’evoluzione, intesa come crescita, sulla tavolozza cromatica dell’esistenza, dipinta così com’è, in cui i pennelli sono i bambini – meglio, il loro insieme di visi, voci, corpi – ed i colori le emozioni primarie, elementari che essi creano tra loro e per noi.
A ciascuno la possibilità, per questo, di ri-gettar! e, ri-comporle, ri-viverle. Torniamo a scuola, con Philibert, tra i banchi e i suoi alunni, la sua natura e la sua Francia? Sì, torniamo anche a scuola di cinema.