E fu così che il cinema salvò la musica. Sì, detto così è un po’ esagerato, ma serve ad attirare l’attenzione. È vero però che se non fosse stato per le colonne sonore la vicenda del più noto studio di registrazione al mondo, quello londinese di Abbey Road, avrebbe avuto un destino ben diverso.

Alla fine degli anni 70, dopo i fasti delle incisioni di Beatles, Pink Floyd e molti altri, gli studi della EMI ebbero una pesante flessione (pochi soldi, per farla breve). La colpa era della musica classica (anche questo non è del tutto vero, serve sempre come frase a effetto). In sostanza, dei tre studi, il più grande – il numero 1 – non lavorava quasi più poiché era destinato alle grandi orchestre e la musica classica già all’epoca non occupava da tempo la fetta principale del mercato. Pensate che i tecnici ci giocavano a badminton nei tempi morti.

Ma c’era poco da scherzare perché l’area dello studio inaugurato nel 1931 da Edward Elgar rischiava di diventare niente meno che un parcheggio. Che fare. Altrove in Inghilterra c’era un altro studio in crisi, a rischio demolizione, specializzato nella registrazione di colonne sonore. Si trattava dei Denham Film Studios, poi ribattezzati Anvil, ove si erano registrate le musiche di Vertigo e Star Wars, per dire.

Nel 1980, gli Anvil Studios furono davvero buttati giù e dovettero trovare un nuovo posto per registrare. La sede EMI ad Abbey Road sembrò la soluzione migliore e nello studio 1 alla fine l’unica modifica fatta fu un buco nel muro per alloggiare un proiettore. Così iniziò una nuova vita per quelle gloriose sale di registrazione, supportata dalla musica per film. Certo qualche precedente cinematografico c’era stato – per esempio la voce di Shirley Bassey per Goldfinger di John Barry, nel 1964 – ma adesso la sincronizzazione e l’incisione della colonna sonora venivano messe a sistema.

Aprire al cinema per gli studi di Abbey Road significò infatti anche internazionalizzarsi. Dalle band prevalentemente inglesi si passò a produzioni che facevano convergere nella strada di Londra artisti da tutto il mondo. Il particolare, dettagliato, sound conferito dalla sala e l’ampiezza – non comune – dello spazio a disposizione, hanno negli anni configurato lo studio 1 come il luogo più adatto per le grosse produzioni, film imponenti dalle colonne sonore epiche.

La vicenda allora comincia prima con un veterano, Miklós Rózsa (La cruna dell’ago), cui seguono Alex North (Il drago del lago di fuoco), Michael Kamen (Venom) e John Williams che lì registra L’impero colpisce ancora e I predatori dell’arca perduta. Si proseguirà con gli altri episodi di Guerre stellari e molte saghe troveranno il loro suono in quegli studi: dal Signore degli anelli a Harry Potter. Il fantastico, la fantascienza, lo scenario apocalittico e quello cosmico chiederanno di risuonare tra quelle pareti; e tuttavia non mancheranno i filmoni firmati, da L’ultimo imperatore a Eyes Wide Shut, o le commedie (Notting Hill).

Qualcuno si è mai lamentato? Sì, per esempio James Horner: lo studio gli apparve troppo “classico”, non trovando sintetizzatori e attrezzature elettroniche più avanzate per la musica di Aliens. Ma ci tornò, quando evidentemente lo spazio si era modernizzato, per incidere Apollo 13. Invero, forse il lavoro più difficile lo avevano i tecnici in regia. Non certo pensato per la visione, il rapporto spaziale tra sala regia e sala prove aveva la particolarità di non essere frontale. Il mixer cioè si trovava lateralmente rispetto al vetro, il che non consentiva facilmente uno sguardo d’insieme. Faticoso.

D’altra parte, per la musica “assoluta” (sic Morricone dicebat) nulla c’è da vedere. Di schermi negli schermi (il quadrante trasparente che incornicia un’orchestra a sua volta soggetta all’immaginifero rettangolo di proiezione) è piena la filosofia.