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Imelda Staunton e Elizabeth Debicki The Crown © 2022 Netflix, Inc
È arrivata su Netflix la prima parte della sesta e ultima stagione di The Crown, la serie, creata da Peter Morgan, dedicata alla vita e al regno della regina Elisabetta II. In attesa della seconda tranche con sei puntate, in programma dal 16 dicembre, ecco cinque cose da ricordare dei primi quattro episodi. Contiene spoiler (ma, insomma, parliamo di fatti già accaduti, no?).
Diana noir
La prima parte della sesta stagione è completamente dominata da Diana, con il racconto delle otto settimane che precedono la sua tragica morte. Sappiamo benissimo che nel rievocare la nascente storia d’amore con Dodi Fayed stiamo assistendo anche all’anteprima di un epilogo funesto: Diana (interpretata da una Elizabeth Debicki che non rinuncia a scavare nella dimensione inquietante dell’icona) è rappresentata come un’antieroina che agisce en plein air, baciata dal sole e immersa nel mare (il giallo e l’azzurro dominano) in opposizione alla famiglia reale sempre chiusa in interni e intenta a farsi complimenti reciproci per nuovi patronati (immagini cupe anche nei momenti meno tetri). Diana è già un cadavere eccellente che aspetta la morte in Costa Azzurra, quasi fosse la protagonista di un noir alla Plein soleil. Inconsapevole fino a un certo punto: notevolissimo il dialogo in cui paragona la data del suo matrimonio all’inciampo in una mina antiuomo (“Amputarti le gambe sarebbe un crimine contro l’umanità” glossa Dodi). Mentre, da lontano, la Regina spera che “quella ragazza trovi pace” anche se “è ogni giorno più sconsiderata, anzi incontrollabile”. Più che Diana contro tutti è il contrario: è una donna assediata dai fotografi, dagli ammiratori, dai curiosi, sempre in fuga. “È stata un’estate divertente, un dono” dice a Dodi prima dell’incidente.
Ogni famiglia è infelice
Dopo un quinto ciclo un po’ interlocutorio, l’atto finale di The Crown conferma la tesi che il meglio stia nelle stagioni pari. E anche se a dominare è Diana, la Casa Reale ci ricorda che ogni famiglia è infelice a modo suo. Matriarca tormentata a disagio con i tempi che cambiano, Elisabetta si vede poco (Imelda Staunton sempre solenne e sempre più sulla difensiva) ma è l’epicentro di tutto. La sorella Margaret (Lesley Manville, che vorremmo vedere di più in quello che, in definitiva, è il personaggio più memorabile) si confida con lei per farle capire ciò che è evidente ma scomodo (“Non ho mai visto Carlo così felice” commenta dopo il compleanno di Camilla, raccogliendo una timida approvazione della sovrana). Il figlio Carlo (Dominic West) se non la tratta come colpevole di ogni sua sciagura ne cerca benedizioni che siano anche condoni dei suoi limiti, i nipoti William e Harry già rivelano i caratteri (serio l’uno, sarcastico l’altro) ma non colgono appieno le dinamiche della monarchia dunque della nonna, il primo ministro Tony Blair non trova una sponda nel tenere insieme le ragioni della Corona e quelle della politica (convivere e non confliggere con Diana, la più amata dal Paese e la più odiata dalla famiglia). Con Filippo (Jonathan Pryce) a proteggerla e pararle i colpi: è lui che accompagna i nipoti in lutto, spiegando loro che il popolo “non piange per lei ma per voi”. Un momento totalmente The Crown.
Il potere delle foto
Oltre a essere quasi uno standard della serie – il tipico meccanismo del personaggio comune apparentemente distante dalla famiglia reale che si scopre ingranaggio di una macchina più grande: pensiamo a Lord Altrincham (2x05) o Michael Fagan (5x04) – il secondo episodio, “Due fotografi”, è un trionfo della scrittura teorica e stratificata di Peter Morgan. Attraverso le confessioni (come se fosse un documentario) del paparazzo italiano che immortalò Diana e Dodi Fayed in love e di un ritrattista molto devoto a sua Maestà (“Spesso sorride nel vedermi”), c’è il racconto di quanto le immagini possano essere potenti: agli scatti rubati con l’ex principessa che dilagano sui tabloid, Carlo risponde con dei “posati” che lo dipingono paterno e solenne accanto ai figli di una donna che dà scandalo. È la quintessenza di The Crown: il racconto di come le beghe della Corona incidono sulla società e sull’opinione pubblica. Ma è anche il primo episodio della serie in cui si percepisce davvero la morte di Elisabetta II: “Ha un modo speciale di tenere unito il Paese, l’ammirazione che proviamo nei suoi confronti ci fa sentire legati a lei: temo ci mancherà molto quando se ne andrà” dice il fotografo britannico. Un’ode e un epitaffio.
Da the queen a the crown
Lo sapevamo: questa è la stagione che contiene la settimana già raccontata da The Queen, il capolavoro diretto da Stephen Frears che valse l’Oscar a Helen Mirren, secondo atto della trilogia che Morgan dedicò a Tony Blair nonché embrione della serie. Se quel film era completamente incentrato sulla crisi tra controllo e inquietudini della sovrana, qui c’è un’estensione del punto di vista: non a caso l’episodio si chiama “Conseguenze”. Del dolore, anche. Quello di Mohamed Al-Fayed (Salim Daw), prima al riconoscimento del cadavere e poi nella moschea, che ci ricorda uno dei grandi problemi della relazione tra Diana e Dodi (la mamma dell’erede al trono può avere una relazione con un musulmano?). Quello di William e Harry, con il primo che si mette le cuffie e va a piangere sotto la pioggia battente facendo perdere le tracce di sé e il secondo che invia alla madre un messaggio che non potrà mai ricevere. Quello di Carlo, colto in lacrime all’obitorio e in conflitto con la madre (a dire il vero qui descritta in maniera meno rigida di quanto vuole la vulgata, mentre il principe Filippo fa il lavoro sporco). E quello della stessa Elisabetta: nella stagione in cui è quasi un’apparizione, è nel finale del quarto episodio che raccoglie il testimone di chi le ruba la scena, cioè Diana. E se in The Queen l’ex nuora era relegata a immagine mediatica, qui si fa invece…
fantasmi Shakespeariani
...fantasmatica. Anzi, spettrale. È la grande deviazione onirica della stagione. Diana esce di scena e rientra subito come fantasma, in gloria della dimensione shakespeariana della serie: Diana come spirito che torna a infestare il quotidiano dei suoi “carnefici” come in Riccardo III o nel Macbeth. Il primo a ricevere la sua visita è l’ex marito, con cui aveva stretto un affettuoso patto di non belligeranza prima della morte: più che una resa dei conti dove rivangare il passato (“Sei sempre stata la più amata”), è un ennesimo addio, un dialogo franco e commovente tra la nostalgia (“Lo sai? Ti ho amato tanto. Profondamente, dolorosamente”) e la premonizione (“Non sarà facile per nessuno”). La seconda è la stessa Regina, in una scena che è già negli annali: il fantasma di Diana si palesa accanto a un’Elisabetta devastata, le stringe la mano, al rimprovero della sovrana che non la guarda mai negli occhi (“Ce l’hai fatta a sconvolgere me e questa famiglia”) segue l’epifania emotiva e politica (la morte della “nemica” come occasione per mostrarsi vulnerabile e rivelarsi finalmente empatica). Nel finale, con la Regina che dopo il funerale prega prima di coricarsi, il fantasma non si vede ma è come se stesse in quella camera: un’assenza che sarà presentissima nel lungo addio di una serie magnifica.