Tra tutti i riconoscimenti culturali italiani, il Premio Strega è forse quello che conta di più. Economicamente, anzitutto: negli ultimi dieci anni, il romanzo vincitore ha aumentato le vendite del 523% (i dati sono della Fondazione Bellonci, che organizza la manifestazione). Fare confronti con l’eventuale equivalente cinematografico ha poco senso. Tuttavia non è solo un tema di copie, perché, sì, è vero, lo Strega “sposta”, ma la differenza la fa anche sul piano del prestigio: la lista dei vincitori crea un “canone” e restituisce l’immagine di un Paese e della sua élite letteraria. Ora, anche i film restano nel tempo, forse anche di più, non fosse altro per la facilità di consumo, e la storia ci insegna che non servono i premi per imporsi nell’immaginario. Sui romanzi potremmo fare lo stesso discorso: alcuni tra i più importanti scrittori italiani del secondo Novecento, come Italo Calvino, Pier Paolo Pasolini, Carlo Emilio Gadda e Leonardo Sciascia, non hanno mai vinto lo Strega, eppure le loro opere sono nelle antologie scolastiche, vengono lette e riscoperte, fanno parte della nostra identità. Ma è indiscutibile quanto la lista degli ormai settantasette vincitori (e delle centinaia di sconfitti: il settantottesimo sarà eletto giovedì 4 luglio) sia un compendio utile per orientarsi nell’industria culturale dal dopoguerra a oggi.

Il cinema italiano ha sempre attinto alla narrativa contemporanea. Registi importanti si sono specializzati negli adattamenti e molti scrittori hanno collaborato a sceneggiature (spesso, quasi per posa, senza nasconderne l’esigenza alimentare). Ma è solo negli ultimi anni che Premio Strega è diventato davvero un vero bacino. Sarà forse perché i due pubblici, lettori e spettatori, si sovrappongono sempre di più: il cosiddetto ceto medio riflessivo, quello attento ai consumi culturali, che segue le ultime uscite, le terze pagine dei quotidiani, le rubriche degli allegati, i consigli dei maître à penser, i dibattiti sui “temi”.

I grandi classici

Ennio Flaiano è il primo vincitore nel 1947 con Tempo di uccidere, il suo unico romanzo – scritto, si dice, quasi con la garanzia dell’alloro – che diventa un poco memorabile film solo quarantadue anni dopo, diretto Giuliano Montaldo. In quell’edizione inaugurale c’è pure Giuseppe Berto, il cui Il cielo è rosso arriva sul grande schermo nel 1950 nella bella opera prima dell’attore Claudio Gora. La vicinanza tra la presenza in cinquina (e l’eventuale vittoria) e il passaggio al cinema riguarda soprattutto successi o grandi casi editoriali, su tutti L’isola di Arturo di Elsa Morante (1957) che trova un timido adattamento nel 1962 grazie a Damiano Damiani, Una vita violenta di Pasolini (candidato nel 1959) in sala nel 1962 per la regia di Paolo Heusch e Brunello Rondi (un anno dopo il debutto da regista dello scrittore) e soprattutto Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (trionfatore nel 1959) da cui il capolavoro di Luchino Visconti (1963).

Claudia Cardinale in Il gattopardo © TITANUS (Webphoto)
Claudia Cardinale in Il gattopardo © TITANUS (Webphoto)

Claudia Cardinale in Il gattopardo © TITANUS (Webphoto)

Ma anche una delle Cinque storie ferraresi di Giorgio Bassani (vincitore nel 1956) che dà origine allo splendido La lunga notte del ‘43 di Florestano Vancini (1960) e uno dei Sessanta racconti di Dino Buzzati (stregato nel 1958) ovvero Sette piani che ispira (non accreditato) Il fischio al naso di Ugo Tognazzi (1967). E poi Un amore a Roma di Ercole Patti (candidato nel 1956) da cui l’omonimo e sottostimato film di Dino Risi (1960), La ragazza di Bube di Carlo Cassola (1960) trasposto da Luigi Comencini con Claudia Cardinale in gran spolvero (1964), Il maestro di Vigevano di Lucio Mastronardi (in cinquina 1962) che due anni dopo diventa uno straordinario film di Elio Petri con Alberto Sordi e ancora Patti con Un bellissimo novembre che perde il premio nel 1966 ma torna al cinema grazie a Mauro Bolognini e Gina Lollobrigida (1969).

A nove anni dalla presenza in cinquina nel 1954, Il taglio del bosco di Cassola (con Patti, Giorgio Montefoschi e Francesca Sanvitale detiene il record di presenze in finale) diventa un notevole tv movie diretto da Vittorio Cottafavi con protagonista Gian Maria Volontè (1963). Ne passano, invece, undici tra la candidatura de Il cavaliere inesistente di Calvino (1960) e la bizzarra versione animata di Pino Zac (1971) e lo stesso tra lo Strega a Una spirale di nebbia di Michele Prisco (1966) e l’adattamento soft di Eriprando Visconti (1977). Diciannove gli anni che separano la mancata vittoria di Alberto Moravia con Il conformista (1951) e il suo clamoroso adattamento (il migliore dallo scrittore) firmato Bernardo Bertolucci (1970), trentuno quelli tra il romanzo La pelle di Curzio Malaparte (in cinquina nel 1950) e il rutilante film di Liliana Cavani (1981), trentaquattro tra La tregua di Primo Levi (sconfitto nel 1963) e la trasposizione di Francesco Rosi (1997), quarantuno tra la nomination de Il pretore di Cuvio di Piero Chiara (1974) e il suo quasi omonimo per il cinema diretto da Giulio Base (2013).

E se Le voci della sera di Natalia Ginzburg (in cinquina nel 1961) ha dovuto aspettare quarantatré anni e un regista spagnolo (Las voces de la noche di Salvador García Ruiz, 2003, mai arrivato in Italia), sono addirittura settantatré quelli tra la vittoria de La bella estate di Cesare Pavese (1950) e l’adattamento di Laura Luchetti (2023). Segno che, a prescindere dalle vittorie, questi libri hanno comunque trovato spazio nell’immaginario, spesso diventando dei veri e propri classici.

La bella estate © LUCKY RED
La bella estate © LUCKY RED

La bella estate © LUCKY RED

Due casi a sé: per esordire come regista nel 1970, Alberto Bevilacqua sceglie La califfa, presente in cinquina nel 1964: nel 1968, Pasolini è in gara con Teorema, nello stesso anno in cui quel romanzo arriva sul grande schermo diretto da lui stesso.

Se negli anni Settanta lo Strega non sembra interessare a produttori e autori, è nel 1981 che si riattiva qualcosa grazie al trionfo di Umberto Eco con Il nome della rosa, best seller mondiale che nel 1986 diventa un kolossal di Jean-Jacques Annaud con Sean Connery e l’allora appena oscarizzato F. Murray Abraham (del 2019 è la miniserie di Giacomo Battiato). Ma, a parte Diceria dell’untore di Gesualdo Bufalino (candidato nel 1981) che viene trasposto nel 1990 da Beppe Cino e Ninfa plebea di Domenico Rea che vince nel 1993 e passa sul grande schermo tre anni dopo per la regia di Lina Wertmüller, è un episodio isolato (ma mettiamoci anche I Talk Otherwise di Christian Capucci, da Danubio di Claudio Magris, girato nel 2015 a ventotto anni dalla candidatura allo Strega). Per tornare a una relazione più intensa tra Strega e cinema dobbiamo arrivare al terzo millennio.

Dagli anni Zero in poi

Il sentimento antiberlusconiano si configura anche sul piano delle scelte letterarie: N. di Ernesto Ferrero (premiato nel 2000) viene riletto da Paolo Virzì nel 2006 come un’allegoria della stagione del Cavaliere. Ma i romanzi del terzo millennio rispondono soprattutto alle esigenze di un cinema intimo se non intimista, fortemente ancorato alla sfera emotiva del pubblico “colto” e con un occhio al melodramma, in certi casi addirittura popolare. A partire dal bestseller Non ti muovere di Margaret Mazzantini (2001) che diventa un grande successo cinematografico del 2004 e inaugura una serie di adattamenti diretti dal marito della scrittrice, Sergio Castellitto.

Sergio Castellitto e Margaret Mazzantini
Sergio Castellitto e Margaret Mazzantini
Sergio Castellitto e Margaret Mazzantini (Karen Di Paola)

Di Sandro Veronesi, unico ad aver vinto lo Strega due volte insieme a Paolo Volponi, ecco sia Caos calmo (2006) di Antonello Grimaldi (2008) e Il colibrì (2020) di Francesca Archibugi (2022), entrambi caratterizzati da una galleria di facce che identificano bene il target (in entrambi c’è Nanni Moretti, e poi Silvio Orlando, Valeria Golino, Pierfrancesco Favino, Laura Morante e così via). Come Dio comanda di Niccolò Ammaniti (2007) diventa film grazie a Gabriele Salvatores (2008), già regista di Io non ho paura. Da La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano (2008), l’ardita trasposizione di Saverio Costanzo (2011). Da segnalare anche come Via Gemito di Domenico Starnone (2000), autore saccheggiato dal cinema contemporaneo, funga da punto di partenza di L’uomo nero di Sergio Rubini (2009), regista non a caso spesso in combutta con lo scrittore (un adattamento così libero che il romanzo non è nemmeno citato nei crediti).

Anche alcuni libri arrivati in cinquina hanno goduto di versioni per il grande schermo, come i due romanzi di Ermanno Rea, La dismissione (2002) diventato La stella che non c’è di Gianni Amelio (2007), e Napoli ferrovia (2008) da cui Nostalgia di Mario Martone (2022). Da Le seduzioni dell’inverno di Lidia Ravera (2008), il quasi omonimo film di Vito Zagarrio (2011). La Francia ha adottato Mal di pietre di Milena Agus, candidato nel 2007 e trasposto nove anni dopo da Nicole Garcia con Marion Cotillard, mentre da La vita accanto di Mariapia Veladiano (secondo classificato nel 2011) è in uscita il dramma diretto da Marco Tullio Giordana. Da Acciaio di Silvia Avallone, vincitore in pectore nel 2010 poi battuto da Canale Mussolini di Antonio Pennacchi, lo scialbo film omonimo di Stefano Mordini (2012).

Sempre dello stesso regista è La scuola cattolica (2021), bignami del fluviale romanzo di Edoardo Albinati (Strega nel 2016) sull’educazione dei giovani fascisti borghesi. Sorte migliore a Le otto montagne di Paolo Cognetti (2017), hit internazionale grazie al film Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch (2023) premiato a Cannes e ai David di Donatello.

Alessandro Borghi in Le otto montagne
Alessandro Borghi in Le otto montagne

Alessandro Borghi in Le otto montagne

E poi la serialità. È il 2015 quando la saga dell’Amica geniale di Elena Ferrante arriva allo Strega sull’onda del successo mondiale: Storia della bambina perduta, l’ultimo capitolo, sarà su Rai Uno a novembre. Sempre in autunno piomberà M. Il figlio del secolo di Joe Wright, dal romanzo di Antonio Scurati (2019). Netflix fa il suo: da Fedeltà di Marco Missiroli, candidato nel 2018, la miniserie per la regia di Andrea Molaioli e Stefano Cipani (2022), da Tutto chiede salvezza di Daniele Mencarelli (2020) ecco adattamento (e sequel) grazie a Francesco Bruni (dal 2022). E ha appena fatto il suo debutto a Tribeca Non dirmi che hai paura di Yasemin Samdereli e Deka Mohamed Osman, versione per il cinema del romanzo di Giuseppe Catozzella in cinquina nel 2014 e vincitore del primo Strega Giovani.

I film mai fatti e quelli che (forse) vedremo

C’è poi il caso di Vita di Melania Mazzucco (2003), grande romanzo sull’emigrazione che si cerca di portare sul grande schermo da vent’anni, prima con Virzì e poi con Claudio Giovannesi. Caso simile a La ferocia di Nicola Lagioia (2015), il cui adattamento cinematografico viene annunciato nel 2018 da Fabula Picture ma dal 2022 risulta “in preparazione” per la regia di Vincenzo Marra.

Travagliato il destino de L’età dell’oro, secondo classificato nel 2005: il romanzo di Edoardo Nesi: nel 2008 fu annunciato il film prodotto da Fandango, diretto da Antonello Grimaldi (stesso team di Caos calmo) e interpretato da Christian De Sica, poi rimandato nel 2009, dunque caduto nell’oblio e infine rilanciato dallo stesso attore nel 2021 (“Un mio sogno nel cassetto”). Cristina Comencini avrebbe dovuto portare sul grande schermo il suo L’illusione del bene, in cinquina nel 2008.

Poche notizie anche da La ragazza con la Leica da Helena Janeczek (2018) annunciato nel 2022 con Alina Marazzi come autrice. Idem Febbre di Jonathan Bazzi, in cinquina nel 2020: i diritti sono stati acquistati da La Cross, a dicembre 2022 lo scrittore è stato aggredito con “quello che sarà il regista” (cit) della trasposizione. Alla fine del 2023 è stato annunciato anche Niente di vero, candidato nel 2022: a dirigere il film sarà la stessa scrittrice, Veronica Raimo. Sono della Dude, invece, i diritti del romanzo che l’ha battuto, Spatriati di Mario Desiati, autore anche di Ternitti, quarto classificato nel 2011 il cui adattamento era in cantiere per l’anno successivo. E poi c’è il caso più affascinante: Ferito a morte, capolavoro del Novecento, Strega nel 1961, il cui adattamento impossibile è stato tentato dall’autore stesso, Raffaele La Capria, e da Paolo Sorrentino, lacapriano doc e a sua volta in lizza per il premio nel 2010 con Hanno tutti ragione. Non se ne fece niente, di comune accordo, ma l’incipit de L’uomo in più è parallelo a quello del romanzo.