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Bill Pullman in Strade perdute - WEBPHOTO
"Dick Laurent è morto".
Tra le innumerevoli citazioni sparse che mi porto appresso dalla notte dei tempi, "Dick Laurent è morto" è una di quelle con cui il subconscio continua a fare i conti senza possibilità di scampo.
Visto la prima volta nel 1997 in un cinema che ormai non esiste più, l'Holiday di Largo Benedetto Marcello a Roma, Strade perdute di David Lynch - che ora dal 16 gennaio tornerà nelle sale, restaurato in 4K grazie alla Cineteca di Bologna - è uno di quei film che non mi hanno abbandonato mai più.
Telefoni che squillano in stanze vuote, personaggi che si sdoppiano, linee narrative apparentemente scollegate che si intersecano pericolosamente, sospetti di infedeltà coniugali e videotape anonimi che riprendono gli esterni e gli interni della tua casa, per non parlare di figure mefistofeliche - "l'uomo misterioso" della festa (Robert Blake, qui al suo ultimo film, il cui pallore vale più di mille maschere spaventose) - volti e atmosfere impossibili da dimenticare.
La sensualità sfuggente di Patricia Arquette, il costante stato semi-allucinato di Bill Pullman, sassofonista jazz ingabbiato nel recinto di un incubo senza via d'uscita, la colonna sonora prodotta da Trent Reznor (con musiche originali di Angelo Badalamenti, lo stesso Reznor e Marilyn Manson) e quella strada, notturna, perduta, che apre e chiude il film sulle note di I'm Deranged di David Bowie.
"Ho fatto un sogno la notte scorsa... Eri sdraiata sul letto, non eri tu, sembravi tu, ma non eri tu".
Noir paradossale e illogico, per certi versi precursore del più celebrato Mulholland Drive (2001) e inevitabilmente impregnato della stessa irrazionale, meravigliosa e inestricabile tortuosità che fu (e che sarà poi con la terza parte) di Twin Peaks, il film di Lynch mette sullo stesso piano realtà, incubi e allucinazioni: "Dov'è il trucco?", chiede Pullman all'uomo misterioso che durante la festa, davanti a lui, risponde contemporaneamente al telefono da casa sua.
Il trucco, semplicemente, è lo stesso per cui quel "Dick Laurent è morto" sentito dall'altro capo del citofono fa sì che a proferire la frase sia la voce stessa di Pullman, che contemporaneamente ascolta.
"Preferisco ricordare le cose a modo mio. Come le ricordo io, non necessariamente come sono avvenute".
Fino al decisivo plot twist, l'omicidio, l'arresto, la condanna a morte, l'inspiegabile trasformazione: il sassofonista jazz diventa un'altra persona, un meccanico (Balthazar Getty), colpevole di nulla e quindi libero di lasciare la prigione. Inizia di fatto un'altra storia, nella quale conosceremo finalmente Dick Laurent (Robert Loggia) e ritroveremo Patricia Arquette (prima era Renée, mora, ora è Alice, bionda). È questa la realtà? O è l'ultima possibilità di un sogno con cui tentare a riprendersi la propria vita, e la donna amata?
Folle, disturbante, un film che non ti lascerà mai più.
"Funny how secrets travel
I’d start to believe
if I were to bleed
Thin skies, the man chains his hands held high
Cruise me blond
Cruise me babe
A blond belief beyond beyond beyond
No return No return"