Se vi venisse chiesto di dover scegliere un volto, il più iconico del cinema italiano degli ultimi trent’anni, chi indichereste? Non credo di sbagliare di molto se provo ad anticipare la risposta: il volto sarebbe senz’altro quello di Margherita Buy – biondo, lunare, timido, compreso nel perimetro celestiale di uno sguardo enorme e pieno di ombrose trasparenze.

E non soltanto perché Buy è una delle attrici più prolifiche e premiate – ha lavorato con i più importanti registi (tra gli altri, Özpetek, Virzì, Tornatore) e detiene il record assoluto di vittorie ai premi che contano –, ma anche perché la sua magnifica presenza si è imposta con grazia, senza mai eccedere, fondendosi perfettamente con il tessuto del nostro immaginario di spettatori in modo sempre rispettoso e credibile.

Gli orpelli artificiosi della star non le si addicono, eppure questa straordinaria interprete è riuscita a plasmare la sua tipicità giocando sul confine sottilissimo tra identità e alterità, tra attrice e “personaggia”, mostrando in tal senso un’attitudine al divismo forse più genuinamente spiccata rispetto alle altre colleghe.

Margherita Buy (foto di Karen Di Paola)
Margherita Buy (foto di Karen Di Paola)

Margherita Buy (foto di Karen Di Paola)

La vera domanda da porsi in questi casi è: dove finisce Margherita e dove cominciano le donne che ha interpretato sul grande schermo? Quanto della sua realtà passa attraverso il ruolo, concretizzando il miracolo cristallino sotteso alla finzione cinematografica?

Sulle aderenze tra vita e arte, si potrebbero citare la partnership nevrotica con Verdone, che fin dai tempi di Maledetto il giorno che ti ho incontrato (1992) ha lasciato un’impronta indelebile nella fisionomia di certa commedia, oppure i film girati insieme a Sergio Rubini, marito per un breve periodo e poi insostituibile compagno di mille avventure – tra cui quella televisiva di Maledetti amici miei (2019), in tandem con l’altro amico-regista Giovanni Veronesi.

Ma forse la vittoria più eclatante Margherita la ottiene con(tro) il caimano autocentrico Nanni Moretti, che ne fa il suo alterego privilegiato in Mia madre (2015), film in cui Buy presta corpo e voce alla regista in crisi Margherita (non a caso, un’omonima). “Non devi crederci troppo, devi stare un po’ di lato. Voglio vedere l’attrice!”, raccomanda Margherita sul set. E così, restando umilmente accanto alle sue numerose versioni virtuali, è diventata il perno immaginifico di una generazione. Noi non vediamo altro: la diva, l’attrice, Margherita.