Anna Magnani non è una semplice stella. Non si può dire che sia banalmente “nostra”. Anna siamo noi: è il cinema italiano, l’icona, la storia, il mito. È un clamoroso big bang, perché tutto è iniziato da lei, dalla sua voce incandescente che grida “Francesco!”, da quella mitragliata invisibile che ne ha intralciato fatalmente la corsa di innamorata folle, dalla sua oltraggiosa caduta: il film è Roma città aperta (1945) e quella della morte di Pina è, senza ombra di dubbio, “la Scena” – si fa fatica a pensare che ce ne siano state altre prima e che qualsiasi cosa venuta dopo non ne rappresenti un’ideale celebrazione.

Anna è la Donna, la Madre, la Patria. È Roma, la sua sacra vestale, custode di un culto millenario che vede tra i suoi principali adepti sommi poeti della visione come Rossellini, Pasolini e Fellini. È il corpo esuberante e vitale di una generazione vilipesa, che prova giorno dopo giorno a risorgere, senza riuscirci mai del tutto. È Nannarella, una maschera eccentrica, bifronte (insieme comica e tragica), un’interprete costantemente in bilico sul confine sottilissimo che distingue la vita dall’arte.

Impossibile vederla eclissarsi dietro i personaggi che interpreta: la sua carnalità è strabordante, la risata fragorosa, i gesti eccessivi, eppure tutto in lei parla il linguaggio totalizzante della verità. Anche quando si smarrisce nel labirinto delle illusioni, come succede a Maddalena Cecconi, la protagonista di Bellissima (1951). Luchino Visconti – uno che di certo non usa i superlativi a caso – ce la presenta come una scheggia nera impazzita che schizza fuori dal fiume umano variopinto delle mamme e delle figlie in attesa del provino per “La più bella bambina di Roma” nella foresta spettrale delle impalcature di Cinecittà: Maddalena è essenziale nella sua ossessione, poiché sa meglio di chiunque che nel destino della piccola Maria si cela l’abbozzo del suo personale riscatto.

I Cecconi abitano letteralmente all’ombra del cinema (dal giardino si intravede il telone di uno schermo all’aperto), le mura della loro umile casa sono infestate dalle parole dei grandi divi americani, e per Maddalena quella finestra luminosa rappresenta il punto d’accesso alla dimensione del sogno. Ma oltre la soglia il privilegio della sognatrice s’infrange: il suo enorme viso, trasfigurato nel fascio della proiezione, diventa effige di puro orrore e l’ira della madre ferita si impone come unica alternativa alla menzogna. Più forte della realtà, più forte del cinema.