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Il grande dittatore (Webphoto)
Mezzo secolo fa per protestare contro la guerra in Vietnam, in America e altrove si bruciavano le bandiere a stelle e strisce, con decine di attivisti e manifestanti arrestati. Scene simili si erano riviste dopo l’11 settembre 2001 con l’inasprirsi del conflitto tra Occidente e Al-Qaeda prima, nonché contro ISIS e Talebani dopo.
All’inizio della guerra in Ucraina, invece, in diretta social ecco che alcune (decisamente avvenenti) influencer russe, anziché “donare l’oro alla patria”, fanno a pezzi delle borsette di Chanel dal valore di 5000 euro e passa, per dichiararsi e dimostrarsi libere dall’Occidente e dai suoi simboli e sostenere così, decisamente “a modo loro”, il loro presidente Vladimir Putin, la cui popolarità ha raggiunto, peraltro, vette stratosferiche cancellando ogni voce di dissenso e negando la libertà di espressione sui Social Media e per la stampa in generale.
Gesti di protesta molto diversi tra loro, che risultano essere – diversamente – figli dei loro tempi nello scagliarsi con motivazioni certamente opposte contro simboli e sistemi differenti. Non sappiamo se le borse in questione siano state acquistate o fossero state “donate” per promuovere quel brand oppure quel negozio moscovita, fatto sta che disintegrare un oggetto di lusso dinanzi a costosissimi smartphone non è esattamente la stessa cosa che dare fuoco ad una bandiera per cui sono morte centinaia di migliaia di persone.
Come simbolo transnazionale di una coalizione occidentale da colpire ci sta meglio una borsetta di Chanel che una bandiera a stelle e strisce oppure con dodici stelle? I semiologi di tutto il mondo sono avvertiti: oggi la propaganda si è spostata in direzioni differenti, andando a individuare come bersagli forme ed espressioni diverse della cultura. Patriottismo e consumismo, quindi, sono diventati sinonimi in un’epoca in cui un’umanità, messa alla prova dalla pandemia, si trova esposta costantemente da un conflitto diventato globale proprio grazie ai Social Media e alla consapevolezza degli aggrediti che la difesa strenua della loro terra avviene tanto sul campo quanto nel mondo 2.0 dove, peraltro, i bot russi la fanno da padrone, aggredendo intellettuali occidentali e tutti coloro si dicono contrari alla guerra e all’invasione russa dell’Ucraina.
Del resto questa guerra, non importa come vada a finire, è stata già “vinta” in qualche maniera dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky che sin da subito ha saputo intuire che la vittoria, qualora fosse arrivata, sarebbe passata senza dubbio tramite i canali social tanto quanto attraverso l’utilizzo delle armi tradizionali.
La sua storia personale è nota: comico che interpreta un Presidente in una serie televisiva di successo, Zelensky viene poi eletto davvero alla Presidenza del suo paese seguendo la strada filoeuropeista aperta dal suo predecessore. Quello che, invece, sembra sfuggire ai più che essendo un uomo intelligente ed esperto di scrittura e comunicazione, il suo peregrinare digitale dai Social agli schermi del Parlamento Europeo fino ad arrivare a quelli delle varie assemblee nazionali, Zelensky si è confermato un politico di spessore, ma soprattutto un grande comunicatore in grado non solo di ispirare il suo popolo, ma di influenzare davvero le posizioni della gente comune nei paesi europei e non solo.
Un elemento imprevisto, decisamente, per il Cremlino e la sua retorica ancorata ai tempi della Guerra Fredda che non è stata in grado di arginare la capacità istrionica della controparte aggredita e il suo riuscire a comunicare in maniera diretta, chiara ed essenziale la tragedia vissuta dal suo popolo non attraverso i canali ufficiali, ma tramite i social, parlando nella sua lingua o in inglese talora con il consapevole aiuto dei sottotitoli.
Molti benpensanti hanno indicato nel suo background di attore di Zelensky una sorta di “falla”, di peccato originale, segnale della sua incapacità politica, senza comprendere che nelle guerre moderne, la capacità di comunicazione, il collante ideologico delle parole è tutto. Come se non bastasse, poi, il concetto stesso di propaganda ha una ragione storica significativa e assai rilevante e risale al momento stesso in cui tutto è cambiato, ovvero con l’avvento del cinema in senso moderno fatto di video e – soprattutto – di audio.
Il grande attore e regista Charlie Chaplin rifletteva sul fatto che fino a quando Adolf Hitler era stato protagonista di cinegiornali muti, facesse soltanto “ridere”, con la sua mimica facciale e la sua postura che risultavano più ridicole che minacciose, più sgraziate che violente o rabbiose. Solo con il sonoro si è iniziato a capire l’entità del pericolo che il cancelliere tedesco rappresentava per il mondo intero, riuscendo a “misurare” la forza delle sue parole. Anche Hitler aveva preso lezioni da un attore prima della sua ascesa vertiginosa, ma i casi di altri attori diventati politici di grande successo sono meno sporadici di quello che si pensa e certamente significativi da conoscere.
In Italia, il grande dirigente comunista Pietro Ingrao aveva studiato al Centro Sperimentale come allievo regista; l’attrice Glenda Jackson, vincitrice di due Oscar, ha rinunciato alla carriera cinematografica tra il 1992 e il 2015 per essere eletta nel Labour in Gran Bretagna; Al Franken, il comico del Saturday Night Live, è stato eletto Senatore per il partito Democratico nel Minnesota; l’ex Presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan eletto per ben due mandati negli anni Settata ed Ottanta era stato un attore a Hollywood di un certo successo così come l’ex Governatore della California Arnold Schwarzenegger, star del cinema d’azione che ancora oggi, con i suoi accorati discorsi, influenza la politica americana e mondiale.
E che dire di María Eva Duarte moglie del presidente argentino Juan Domingo Peròn, diventata first lady nel 1946, attrice di palcoscenico, radio e cinema diventa alla sua morte un personaggio di culto per un’intera nazione al punto che la sua salma fu a lungo segretamente nascosta in un cimitero di Milano per paura che il suo corpo venisse dissacrato? Ancora oggi, complice il musical di Andrew Lloyd Webber e la sua versione cinematografica diretta da Alan Parker con Madonna e Antonio Banderas, il cimitero della Rigoleta a Buenos Aires è meta di pellegrinaggi di persone che visitano la sua tomba e che la considerano una sorta di patrona laica del paese latino americano e – più in generale – degli umili e dei poveri.
Questi sono alcuni casi emblematici di uomini e donne dell’entertainment che hanno segnato la storia politica del mondo, senza dimenticare ancora una volta Charlie Chaplin e l’attualissimo discorso indirizzato a Hitler attraverso Il grande dittatore, in cui un “insignificante barbiere ebreo” si sostituisce al finto grande dittatore Adenoid Hynkel per lanciare una sfida al vero destinatario del messaggio, ovvero Adolf Hitler.
In quel momento non è il personaggio a pronunciare uno dei più importanti discorsi della storia del cinema, ma Chaplin stesso che si erge come un novello Davide conto il Golia nazista: “…Tutti noi esseri umani dovremmo unirci, aiutarci sempre, dovremmo godere della felicità del prossimo. Non odiarci e disprezzarci l’un l’altro. In questo mondo c’è posto per tutti. L’odio degli uomini scompare insieme ai dittatori. Il potere che hanno tolto al popolo, al popolo tornerà. E qualsiasi mezzo usino, la libertà non può essere soppressa. Soldati! Non cedete a dei bruti, uomini che vi comandano e che vi disprezzano, che vi limitano, uomini che vi dicono cosa dire, cosa fare, cosa pensare e come vivere!... Uniamoci tutti! Combattiamo tutti per un mondo nuovo, che dia a tutti un lavoro, ai giovani la speranza, ai vecchi la serenità ed alle donne la sicurezza. Combattiamo per eliminare l’avidità e l’odio. Un mondo ragionevole in cui la scienza ed il progresso diano a tutti gli uomini il benessere. Soldati! Nel nome della democrazia siate tutti uniti!”.
Questo non è solo uno dei discorsi più belli della storia del cinema, ma dell’umanità. Ed è stato scritto da un attore, regista, Charlie Chaplin, conquistando il mondo attraverso il cinema così come oggi provano a farlo i Social Media.