Nala, Grumpy, Mr. White, Suki, Coby e Pooki. Nomi apparentemente sconosciuti, ma molto famosi e potenti sui Social: chi sono? Sono alcuni tra i gatti influencer più famosi del mondo, con profili da milioni di follower e – soprattutto – interessi che superano di gran lunga le crocchette o il pesce lesso di tanto in tanto. Perché se c’è una cosa di cui dobbiamo essere consapevoli è che i famosi “gattini” presi in giro da comici, influencer umani ed intellettuali che vengono additati in genere come forma di rimbambimento legata ai Social Media, di fatto, controllano Instagram e Tik Tok con numeri a dir poco strepitosi. I cento animali più influenti dei Social Media costituiscono un’elite tutt’altro che da prendere sottogamba.

Al di là della simpatia e dell’affetto per gli animali in generale e i gatti in particolare, le storie dei gatti influencer sono indicative del mondo in cui viviamo e – senza dubbio – andrebbero analizzate (insieme a tante altre ovviamente) da psicologi e antropologi digitali. O raccontate in un film d’animazione? Perché quelle che vediamo non sono solo immagini carine o buffe, perfino “graziose”, ma sono proprio storie che portano ad una narrazione e sfruttano i meccanismi della Fiction per tenere ‘ingaggiato’ il pubblico.

Ci sono gatti che documentano le loro giornate con una Go-Pro collegata ad un WI-FI e ci permettono di seguire il loro punto di vista in diretta tra un inseguimento e un riposino. Ci sono gatti ciechi, zoppi, malati che ce la fanno, sofferenti che, invece, non ce la fanno e che ricevono donazioni, ci sono gatti riuniti ad altri animali, ci sono gatti parlanti che rispondono (apparentemente) in tutte le lingue ai saluti dall’italiano all’arabo, dall’inglese al mandarino. Ci sono gatti per tutti e – soprattutto – sono milioni che nascono, crescono, si fidanzano fanno figli (tanti) eppoi dopo anni di questo Truman Show peloso a quattro zampe muoiono lasciando magari eredi.

Scemenze? Ridicolaggini sentimentali? I numeri sembrano dire altro: la presidente uscente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha 454.000 follower, l’attuale primo ministro italiano ne ha due milioni e settecentomila, mentre la gattina Nala, la regina degli influencer felini, oggi ha quattro milioni e mezzo di follower su Instagram… Quando i commentatori parlano dei gattini del web come armi di distrazione di massa, come simbolo di una decadenza culturale, di buonismo di risulta, dimenticano anche di andare in profondità rispetto ai numeri che sui Social hanno sempre un valore economico alto se non addirittura importante e fondamentale.

Perché tra un’espressione buffa e l’altra, Nala (o chi per lei) non “si dimentica” mai di citare il cibo per gatti che è il suo sponsor. E Nala, la cui storia sembra uscita da un film Disney ovvero la piccola micetta abbandonata e adottata in un rifugio americano che diventa l’icona incontrastata del web, non è sola. Anzi. Molto distaccato, con ‘soli’ due milioni e settecentomila follower arriva Grumpy, un gatto i cui colori gli danno un’aria sempre un po’ “scocciata” qualsiasi cosa faccia. Mr. White, a dispetto del nome dal sapore tarantiniano, è, invece, un gatto americano, bianco, di nove anni da due milioni e trecentomila follower che ci comunica già dalla sua biografia di avere superato il cancro…

A seguire ci sono, poi, Suki un gatto del bengala che vive in Canada insieme ad un grosso cane Husky di nome Killua con cui condivide molte avventure nella natura del Grande Nord, ma non il profilo che, invece, è intitolato solo al felino e non anche al suo amico cane. E via così: ci sono gatti a tutte le latitudini che raccontano le loro storie quotidiane ad un pubblico internazionale divertito, appassionato, curioso.

Del resto, secondo le stime degli ultimi anni in Italia vivono 60 milioni di animali domestici: 9 milioni di gatti e 6 milioni di cani convivono con le loro famiglie umane, per un mercato globale (il cosiddetto “Pet Food”) che muove qualcosa come due miliardi euro. Per dare un’idea il box office totale del cinema in Italia nel 2024 a metà anno toccava i 200 milioni di euro con circa 30 milioni di ingressi. Una frazione di quello che genera il cibo per animali che è un altro consumo è vero, ma sempre di consumo si tratta. Quindi questi gatti, al di là di regalarci risate, sorrisi, pensieri ‘teneri’ sono i testimonial di un business dove non serve Chiara Ferragni, ma basta un gruppo di simpatici animaletti a creare un senso di comunità tra persone che la pensano diversamente, che hanno filosofie, vite, storie, esperienze diversissime e che eppure sono unite dalla stessa passione per gli animali.

©Chris Barbalis

Quindi cosa fanno le aziende che producono cibo per animali? Anziché fare solo product placement in film e serie o insistere su pubblicità tabellari spesso molto simili tra loro, puntano sull’immediatezza dei Social e su un messaggio diretto collegato a questo testimonial globale, ma anche locale. Abbiamo già scritto in queste pagine del gatto influencer della politica inglese Larry, il chief mouser ovvero l’acchiappatopi-capo che da ben cinque primi ministri e 16 anni influenza con le sue battute e i suoi retroscena la politica britannica. Serio e faceto? Certo, ma a fronte di battute e lazzi, gli umani dietro ai “gattini del web” gestiscono affari di migliaia di euro e come in questo caso possono proporsi come dei “Pasquino” digitali in una costante “tenzone” con il potere. Enrico Mentana, direttore dei uno dei Tg nazionali di questo paese, ha 45.000 follower su X. Larry il gatto: 848.000…

Certo, come osserverebbe uno studioso di media del calibro di Carlo Freccero, l’equilibrio tra audience e reputation è centrale rispetto all’efficacia del messaggio, eppure il costante sminuire il fenomeno dei gattini come ad un giochetto di decerebrati, lontano dall’Accademia dei saggi oltre ad essere sbagliato, dimostra una profonda inconsistenza nell’approccio alla fenomenologia mediatica. Tika the Iggy un piccolo cane levriero italiano residente a Montreal Quebec, “si autodefinisce” come un’icona gay e le sue collaborazioni con riviste patinate possono essere apprezzate da oltre un milione e quattrocentomila follower; mentre Jimm Pomm, un volpino della Pomerania di Chicago, ha oltre nove milioni di follower che apprezzano le sue vedute sullo stile e sulla vita.

Quindi quando ridiamo di Caligola che nomina senatore un suo cavallo (più per insultare il Senato che per convinzione) o ci commuoviamo per il cane Hachiko il cui memoriale a Tokyo ha sempre delle lunghissime file, dobbiamo forse sforzarci di capire che il mondo animale nella sua versione digitale è una presenza importante sul piano culturale, ma anche e soprattutto di business muovendo interessi che, verosimilmente, nessuno dei suoi detrattori è in grado nemmeno di immaginare. Non è un merito: è un fatto.

Quello che ci chiedono i Social Media è capire che la loro centralità politico, sociale, economico, culturale è fatta di molte sfaccettature e che per tanti gatti che hanno raggiunto il successo ci sono, come nella vita, tanti gatti normali e randagi senza nome che possono contare solo su exploit occasionali come il gatto che ha interrotto un’opera in Turchia, un altro che è salito sul podio di un concerto di musica classica in Germania e di tanti altri che dormono in Giappone, in Cina e altrove sugli ingressi della metropolitana, impedendo ai passeggeri di usare il tornello con molti di loro che preferiscono “non disturbar il gatto che dorme”. Insomma, senza dubbio i gatti stanno avendo il loro maggior successo culturale dai tempi dei geroglifici egiziani al netto dei fumetti come dei nostrani 44 Gatti che mangiano le tagliatelle di nonna Pina, di Garfield, di Heatccliff/Isidoro, dei Mutts, del Gatto di Simon e degli Aristogatti.

Un fenomeno destinato a durare e a svilupparsi che, però, merita attenzione e, forse, perfino qualche cautela visto che account da 4 milioni di follower possono prestarsi a messaggi che potrebbero rivelarsi ben lontani dall’essere solo “fusa”, facendoci precipitare in un episodio distopico stile Black Mirror dove un animale immaginario e reale al tempo stesso può cambiare le nostre vite.