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dettaglio di Tobia e l'angelo di Andrea Verrocchio (1470-1475), presente sulla copertina di Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes
Quante volte in un tempo in cui la memoria era affidata solo alla carta, sfogliare in maniera non sempre “autorizzata” l’album dei ricordi di una persona appena incontrata, ti faceva sentire un po’ imprudente e perfino un po’ sgarbato? Quante volte nello scivolare delle dite sulle foto appiccicate o protette da un velo di plastica siamo diventati insofferenti se non – addirittura – un po’ “gelosi” di tutti quei bei momenti in cui non c’eravamo stati, in quanto non ci eravamo ancora materializzati nella vita di quella donna o di quell’uomo?
Istanti di imbarazzo e di divertimento, di sorpresa e di dubbio si alternavano in quello sguardo mirato alle pagine di un album fotografico così – in certi momenti – innaturale, eppure così significativo e presente. Un’esperienza che, oggi come oggi, nell’era del voyeurismo eletto, incoraggiato e celebrato come condivisione emozionale viene riprodotta costantemente, più volte alla settimana. Ogni giorno quando abbiamo ricevuto una richiesta di amicizia o l’abbiamo inviata o più – dichiaratamente – per curiosità, voyeurismo e – nel peggiore dei casi – per concupiscenza, lo sfogliare gli album fotografici altrui ci permette esperienze fino a poco tempo fa del tutto inattese: saliamo su barche al mare; mangiamo cene buonissime, ci sdraiamo su lettini a bordo piscina e poi repentinamente festeggiamo in discoteca una giornata in montagna.
Viaggi turbinosi e immediati alla scoperta delle esistenze altrui talora, inciampando per caso, altre volte scavando con la dedizione di Sherlock Holmes nelle vite degli altri alla ricerca di segreti, sguardi, memorie, rivelazioni e – tutto sommato – emozioni a portata di click. Le infinite possibilità degli album fotografici, i frammenti insoluti di vite in corso o appena conclusesi sono diventati parte del nostro immaginario, nonché della nostra consuetudine.
Ed è come se il sistema hegeliano e della sua ultima visione del mondo preideologica fosse andato oltre la morte del filosofo tedesco nel 1821 e avesse – in qualche maniera forzato grazie alla tecnologia – le possibilità del mondo tridimensionale che abbiamo conosciuto, offrendo a tutti noi l’illusione di una visione globale a trecentosessanta gradi delle nostre esistenze. Ed è così dunque che la memorialistica, ovvero quella che secondo l’enciclopedia Treccani costituisce “L’insieme delle opere letterarie a carattere biografico, autobiografico, cronachistico e simili, considerate con riferimento a un paese, a un’epoca, a un momento storico: la m. francese, inglese; la m. del Settecento; la m. italiana del Risorgimento” è un genere letterario la cui esistenza è stata messa a serio repentaglio dalle immagini e dai Social Media.
Oggi tutti (o quasi) scriviamo le nostre biografie, rivelando qualcosa di noi attraverso ciò che “postiamo”, ma soprattutto quello che mostriamo. Il divario tra ciò che è davvero e quello che vogliamo sia il “percepito” da parte di chi ci guarda fa parte di un senso truffaldino di noi stessi che, talora, con risvolti anche giudiziari offriamo agli altri per farci guardare e soprattutto per raccontarci rispetto a quello che vorremmo essere e comunicare di noi, a paragone di quello che siamo realmente. Gli psichiatri possono interrogarsi oramai mettendo da parte la discrezione, così come gli antropologi. Il mondo digitale e il metaverso, costituiscono le vere frontiere dell’esplorazione non solo psicologica della nostra umanità di primi anni del Ventunesimo Secolo.
Ma ecco che quando pensavi che lo stato delle cose fosse già complesso e complicato di per sé, i media arrivano a sorprenderti ancora, facendo dell’esistente una forma di racconto. Le foto, oggi, sono interpretate non più come mere testimonianze distratte, bensì come pietre miliari di una vita intera, soprattutto in casi in cui la celebrità è al centro dell’attenzione e sotto la lente dell’opinione pubblica.
Nella grande telenovela della separazione tra l’ex calciatore e capitano della Roma, Francesco Totti da sua moglie, la conduttrice televisiva Ilary Blasi, i Social Media vengono chiamati costantemente sul banco dei testimoni nel grande tribunale mediatico intorno cui si ascolta il vociare delle fazioni pro lui o a favore di lei. Per chi non è interessato alla questione e che dimostra una certa ostinazione nel turarsi naso e orecchie rispetto al gran battage aizzato anche da quotidiani una volta rispettabili, basterà dire che i due si sono separati in seguito a qualche infedeltà (sembra) dell’uno o dell’altra.
Scesi in campo anche i celebri avvocati ecco che le foto hanno condotto nel campo dell’agone (o sul palcoscenico di questa sceneggiata tanto melò) diversi personaggi più o meno ‘amici’ dell’uno o dell’altra, rispolverando vecchi servizi fotografici appartenenti a quell’epoca felice dell’amore di gioventù prima del botox e perfino dell’ultimo scudetto romanista. Mentre lui ha scelto di rilasciare un’intervista esplicita al grande quotidiano milanese la cui lettura inavvertita fa sentire talmente a disagio da essere considerata l’equivalente postmoderno del contrappasso dantesco; lei – più modestamente – ha affidato ad Instagram una serie di scatti che ribadissero da un lato la propria tranquillità, dall’altro qualche salace paradossale commento alle patetiche cose dette da lui.
In particolare vediamo Ilary Blasi davanti ad un negozio di una nota marca di orologi status symbol un po’ cafoni e irraggiungibili da chi paga le bollette con sofferenza, mimare l’atto di rubarli, così come sostenuto da lui nella triste e già citata ignominiosa intervista. In quel momento, lei, forse, bella abbandonata o forse fedifraga non pentita ha attirato a tale punto l’attenzione mediatica che se da un lato la ‘posizione’ di lui è stata commentata in base alle parole, le risposte di lei sono state interpretate grazie ad una serie di scatti, analizzati in maniera così dettagliata e approfondita da sembrare una puntata di CSI.
Ed è questo l’elemento esplosivo e innovativo sul piano comunicazionale: spesso in risposta ad uno scandalo o ad una notizia di un certo rilievo, qualcuno scriveva e qualcun altro pubblicava un dettagliato “memoriale” sulla questione con ‘dovizia di particolari’. Oggi, invece, non serve o – almeno – non è più necessario stilare pagine e pagine di commenti e risposte a questa accusa o a quell’altra ricostruzione dei fatti. Instagram è il diario costante che può ostentare indifferenza, sarcasmo e perfino disprezzo per le parole altrui. Le parole lasciano spazio ad una traccia di immagini che dalla Tanzania all’hinterland romano ripetono ostinatamente l’inquietante mantra del “chissenefrega”.
Chissà, quindi, cosa ne penserebbe Roland Barthes, il grande semiologo francese, di questi frammenti di un discorso oramai non più amoroso che lungi dal concludere una relazione, ne segna in ogni caso una fine apparente e ingloriosa tra parole e immagini, tra testimonianze riferite e scatti rubati. È come se tutto avvenisse su un palcoscenico o comunque nel cortile di un condominio digitale tanto immenso quanto curioso e occhiuto, chiedendo, nei fatti, a tutti un’opinione precisa. Schierarsi e decidersi: è questo che viene chiesto anche a chi guarda o legge i Social Media per caso o con distacco.
Un meccanismo di coinvolgimento emozionale che fino a quando tocca le coppie di turno (da Totti-Ilary a Shakira-Piquet) è un gioco di cattivo gusto, ma innocuo e che diventa, invece, nocivo se non addirittura rischioso quando si tratta di tematiche sociali e politiche che toccano la cosa pubblica. Un mondo digitale il nostro tanto pericoloso ed imprudente il nostro dove addirittura l’epitaffio sul regno più lungo di una regina viene affidato alle parole di un personaggio digitale, un orsetto inventato che dà voce alle emozioni di una nazione grata e divisa come celebrazione ultima di un’era immateriale in cui è più facile immedesimarsi con la finzione raccontata che con la realtà vissuta. La misura di un tempo falsato in cui la marca e il prezzo degli orologi sembra contare più delle ore che passano e del valore di quello che rappresentano.