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“I panni sporchi si lavano in famiglia”, perché quando gli stracci volano non si sa mai sul volto di chi atterreranno. Perle di saggezza popolare di cui, evidentemente, a Hollywood e dintorni non hanno mai sentito parlare, perché quello che è accaduto in questi lunghi mesi di sciopero di sceneggiatori (prima) e attori ha scoperto degli altarini che difficilmente potranno essere dimenticati negli anni a venire. E questo, soprattutto, per colpa dei social media, perché – come spesso abbiamo notato su queste pagine – sono proprio questi ultimi ad aver reso possibile un livello di interazione tra celebrità di Hollywood e fan senza precedenti.
Gli attori, infatti, possono rispondere direttamente ai commenti, condividere le loro esperienze personali e persino svelare il dietro le quinte dei loro film e delle loro serie televisive. Questo stato di cose ha creato un senso di vicinanza tra le celebrità e il pubblico, contribuendo a costruire una base di fan più fedele che mai. Ma se questo è stato vero fino a quest’anno, determinando il successo di carriere e l’esito commerciale assai fortunato di alcuni titoli, nel 2023 i fan hanno potuto ascoltare direttamente dai loro beniamini le motivazioni dello sciopero più lungo della storia di Hollywood, da cui sarà difficile, in ogni caso, lo ripetiamo, tornare indietro.
Secondo Business Insider, infatti, la situazione ha rallentato l’avvicinamento dei “creatori digitali” all’ex mondo della celluloide, in quanto la sospensione delle anteprime con tappeto rosso, ha causato non pochi problemi agli influencer dedicati interamente al mondo del cinema e – come abbiamo già notato – spesso “foraggiati” direttamente dagli Studios per farsi piacere sui loro account questo film o quella serie.
Eppure la forza delle Union, ovvero dei sindacati, ha fatto sì che perfino dei ragazzini sviluppassero una sorta di “coscienza di classe” arrivando – si legge – a sperimentare una “forte depressione” dovendo rinunciare a creare contenuti che ama o impegnarsi in attività come il cosplaying. Questo perché “il messaggio implicito della corporazione degli attori è: siamo i guardiani della carriera che desideri. Se non segui le nostre regole, non potrai unirti a noi. Quella porta ti sarà chiusa”. Insomma, lo sciopero e le sue ragioni hanno talmente coinvolto una parte dei creatori digitali al punto da diventare una forza di pressione importante sugli Studios.
E dire che la faccia più amara della città degli angeli si è rivelata chiaramente in questi mesi proprio grazie ai Social Media: le attrici e gli attori non famosi hanno spesso postato i loro compensi online e non hanno esitato a mostrarsi mentre dormivano in macchina insieme alla famiglia dopo non essere riusciti a pagare l’affitto al punto che, si mormora, siano proprio gli Studios a voler raggiungere un punto in cui sarà difficile all’interlocutore in ginocchio di poter dire di “no”.
Quindi, come spesso capita nelle liti condominiali ecco che i segreti più sporchi di Hollywood, secondo il Washington Post, sono stati tutti rivelati al pubblico che, forse, ne è rimasto perfino disgustato, rimpiangendo almeno un po’ il tempo dello Studio System in cui tutti lavoravano e tutti venivano pagati regolarmente come stipendiati senza compensi stellari che sarebbero arrivati solo negli anni Sessanta dopo quasi mezzo secolo di prosperità.
Del resto l’ultimo sciopero risale al 2007, quando i Social Media stavano appena timidamente alzando la testa e non erano certo al centro del panorama mediatico così come accade oggi. Nel 2023, infatti, è stato certamente facile trasmettere la fatica di provare a sbarcare il lunario come scrittore o attore. Oggi, infatti, non si tratta di celebrità multimilionarie che si lamentano di non essere più ricche: in effetti, molti dei più facoltosi esponenti del mondo del cinema e della televisione americani hanno donato collettivamente oltre 15 milioni di dollari a un programma di assistenza emergenziale per aiutare le persone bisognose a causa dello sciopero. Del resto, queste proteste riguardano la sicurezza lavorativa e finanziaria mentre il panorama dei media cambia ancora una volta. E questa volta attori e scrittori possono sfruttare il megafono dei social per comunicare direttamente con il pubblico sul perché avere la propria faccia sullo schermo o il proprio nome nei titoli di coda, anche se ciò non è – sorprendentemente – correlato ad una vita stabile soprattutto sul piano finanziario.
Al di là delle piccolezze miserabili come lo Studio hollywoodiano che ha tagliato un albero di fico pur di togliere l’ombra ai manifestanti, sono i numeri a spaventare non solo gli attori, ma anche il pubblico, perché questo sciopero è stato solo uno dei tanti fronti dell’America (e del mondo) post New Deal dove i ricchi diventano sempre più ricchi a scapito dei poveri sempre più indigenti.
William Stanford Davis, che interpreta il ruolo del signor Johnson in Abbott Elementary, ha pubblicato un assegno ricevuto per la folle somma di “5 centesimi” su Instagram evidenziando come il francobollo e la carta utilizzati per inviare il cheque valessero più del pagamento.
Dunque? Se da un lato i Social Media hanno consentito una maggiore autenticità nelle relazioni tra celebrità e fan, dall'altro hanno aperto la porta a controversie e scandali: la gestione dell'immagine è diventata più complicata, poiché i commenti e le azioni online possono avere ripercussioni significative sulla reputazione di una celebrità. E i fan di Hollywood sono diventati una forza determinante: attraverso petizioni online, hashtag virali e campagne di sensibilizzazione, i fan possono influenzare le decisioni degli studi cinematografici, come il casting di un film o persino il ripristino di serie TV cancellate. Questa interazione tra fan e industria cinematografica è un fenomeno unico in cui i social media giocano un ruolo centrale. In questo senso il Washington Post insiste: “Ciò che non è chiaro è se gli studi cinematografici si preoccupano della percezione del pubblico… La protesta nel vedere i miseri pagamenti residui e imparare cosa serve per sbloccare l’assistenza sanitaria sponsorizzata dalle corporazioni farà la differenza?”.
La risposta non è facile e – comunque – potrebbe non risultare immediata. Certo è che una vittima illustre di quanto accaduto nelle ultime settimane è sicuramente Bob Iger, CEO della Disney che una volta era considerato come uno dei “grandi illuminati” di Hollywood e che, oggi, invece, viene attaccato direttamente da attori e attrici importantissimi, incuranti delle eventuali ripercussioni e determinati al punto di volere fare notare ad Iger – tra le altre cose – come sia scarsamente sostenibile la posizione di qualcuno che chiede di tirare la cinghia agli altri guadagnando (lo scriviamo anche a lettere per evitare che pensiate sia un refuso) 27 (ventisette) milioni di dollari all’anno.
Un compenso che, forse, in confronto ai cento milioni di Tim Cook di Apple è “poca cosa”, ma che comunque fa arrabbiare le persone durante i negoziati quando si sentono chiedere di essere “realistici”…
Così mentre l’ex Tata televisiva Fran Drescher, diventata presidente della Screen Actors Guild (SAG) spiega ai suoi follower di recitare mantra buddisti durante i negoziati con i rappresentanti degli Studios, l’impressione generale mutuata attraverso i Social di quanto accaduto è che si tratti non di una “semplice” questione sindacale, ma di un nodo emblematico dello scontro di artisti e professionisti contro l’avidità delle Corporation. E questo perché quando tu hai oltre un milione di follower su Instagram non ti servono uffici stampa o PR per fare arrivare un messaggio forte e chiaro ai tuoi interlocutori, aizzandogli contro i tuoi sostenitori che sono, peraltro, i loro clienti.
Perché la forza trainante dello showbusiness sono sempre state le star che se durante le guerre mondiali raccoglievano soldi per lo sforzo bellico, oggi, sostituendo TikTok ai Cinegiornali possono benissimo tirare ad alzo zero sulle Corporation di cui gli Studios e gli Streamers sono delle piccole divisioni.
Alla fine, però, al di là dei numeri di post, fan e followers, sono i dati macroeconomici a parlare: l’economia dello Stato della California ha perso in quattro mesi di scioperi circa 6.5 miliardi di dollari e 45.000 posti di lavoro con un previsto danno al Box Office per il 2024 di circa un miliardo e mezzo di dollari. Insomma, i numeri sono numeri e in casi come questo – come li giri – fanno sempre paura.