Una delle scienze che forse hanno beneficiato di più dall’attività di diffusione, nonché di divulgazione operata incessantemente dai Social Media è l’archeologia. Il racconto appassionante della riscoperta del passato, del ritrovamento delle pietre “che parlano” della nostra memoria, della difficile decrittazione di testi e parole dimenticate, oggi, non è più affidata solo alle cure di insegnanti coscienziosi e appassionati, nonché di benemerite riviste o di trasmissioni televisive. Grazie soprattutto a TikTok, ma anche Instagram e ovviamente YouTube, tutti noi possiamo vivere avventure archeologiche vicine e lontane per comprendere meglio il nostro passato, e – soprattutto – per conoscere e vedere quello che avviene nei siti archeologici più o meno noti in tutto il pianeta.

Certo, anche qui bisogna operare qualche distinguo: non tutti coloro che creano video e contenuti legati all’archeologia sono scientificamente all’altezza e storicamente affidabili: spesso al loro essere molto appassionati non corrisponde un altrettanto rigorosa preparazione storica. Al tempo stesso, però, le immagini e le teorie proposte, talora assai strampalate, hanno comunque il merito di guardare avanti a luoghi storie e situazioni che, spesso, purtroppo non arrivano sui giornali o sui grandi siti di informazione.

A dispetto di misteri veri o presunti, nonostante le presenze di U.F.O. e Alieni, in genere, l’informazione archeologica – pur con qualche concessione alla spettacolarizzazione – racconta in maniera corretta quanto conosciuto, almeno fino ad oggi, da Archeologi e scienziati. Con qualche sana controversia, ovviamente. Detto questo, però, tale forma di comunicazione permette di incontrare grandi eccellenze che altrimenti non avremmo avuto modo di scoprire senza i Social Media e che – forse – nel bel tempo analogico che fu – avremmo potuto sperare di vedere solo di persona a qualche conferenza storico – archeologica.

Questo il caso di Honor Cargill-Martin che tra Instagram e Tik Tok, in virtù del suo PHD a Oxford dal suo account @ancienthistorygirl rilegge la storia di Roma antica, aggiungendo spesso, come giusto che sia, una sensibilità contemporanea che permette di riguardare al presente alla luce del passato e viceversa. Gian Marco, invece, ci racconta la Roma antica esplorando quella moderna e andando ad analizzare frasi, detti, luoghi della Capitale alla luce dell’eredità non solo degli antichi romani, ma anche dalla tradizione ottocentesca: in maniera molto pop e dal grande fascino comunicativo, avvalendosi di un montaggio serrato che propone anche video e illustrazioni del suo racconto.

Non sorprende, poi, il caso degli account Best Archaeologist e @_arkeolog che senza spiegazioni e – soprattutto – senza dare indicazioni per motivi piuttosto evidenti fanno archeologia sul campo utilizzando metal detector e altri strumenti per recuperare oro e altri materiali preziosi di cui è tutt’altro che ‘certa’ la fine post ritrovamento. Saranno consegnati a musei oppure venduti a caro prezzo sul mercato nero? Un quesito un po’ disturbante cui i video sembrano non dare alcuna risposta chiara, offrendo, però, in compenso, uno sguardo ravvicinato all’utilizzo delle moderne tecnologie nei ritrovamenti veri o presunti di antichi artefatti e di tesori.

Brava divulgatrice è @archeocuriosity che con simpatia e competenza vede Jessica guidarci non solo alla scoperta di storie e miti, ma anche di mostre in corso dove ci suggerisce quali sono le cose imperdibili che dobbiamo vedere e alcune cose che dobbiamo anche “fare” come, ad esempio, toccare la ‘replica’ della mummia di Ramses II alla Mostra del Vicino Oriente alla Sapienza a Roma. Un modo molto smart e intelligente di avvicinare all’archeologia giovani e meno giovani, ma anche una modalità interessante per togliere un po’ di polvere agli studi del passato.

Meno accademismo e più capacità divulgativa? Un altro modo di raccontare il mondo di allora è quello di utilizzare il meglio della tecnologia di oggi e – in particolare – l’intelligenza artificiale per vedere come le impolverate rovine di oggi, siano state, una volta, sontuosi palazzi e templi, inseriti in un contesto sociale e storico di ben altro livello. This is Ancient (@anaxandrov) propone quasi quotidianamente tale possibilità ai suoi oltre 604.000 follower: Il sito delle piramidi a Giza in Egitto, il porto di Cartagine, i giardini pensili di Babilonia, la più grande città dell’antichità, Ur, oggi in Iraq; Persepolis in Iran; Gerico in Palestina; Filippi in Grecia; Palmyra in Siria; Balbek in Libano e – tra le tantissime altre – ovviamente Roma, rinascono sotto i nostri occhi in tutta la loro grandezza e bellezza.

Una visione di quello che oggi è invisibile ed eppure resta tangibile nella nostra memoria storica, ma anche archeologica, offrendo ai nostri occhi quello che gli scavi e le pietre tout court non riescono, talora, a comunicarci. Sulla stessa linea anche Simple History (@simplehistory_) the tra Europa e Giappone, tra Messico e Cina, oltre a ricostruzioni di palazzi guida lo spettatore alla comprensione delle meraviglie tecnologiche del passato o la riscoperta delle origini di strane situazioni come i maiali natatori delle Bahamas che si dice siano gli eredi degli unici superstiti di un naufragio e che da allora popolino le spiagge di un’isola continuando a nuotare per la gioia dei turisti che, invece, cretinamente li “ammazzano” involontariamente dando loro da mangiare ogni tipo di cibo e “ubriacandoli”…

In questa lista, per sua natura, incompleta, mancano molti seri archeologhe e archeologi, eppure una cosa che non può non essere menzionata per la novità e anche per l’insolito e irrituale approccio al passato è @impossibleaicinema che guida lo spettatore anche nell’antichità con piccoli corti realizzati attraverso l’intelligenza artificiale: possiamo visitare i Maya, dare uno sguardo alla civiltà minoica, nonché la Scozia della civiltà del bronzo. Grazie all’IA possiamo sbirciare le vite, osservare i costumi degli Incas, di un umile cittadino nella Roma antica, seguire i Vichinghi in un loro raid, e apprezzare il brusio dei commerci sotto l’Acropoli di Atene.

È ovviamente molto probabile oltreché possibile vi siano alcune inesattezze sul piano storico archeologico eppure questa tecnica ha un grande merito che trascende l’accuratezza storica che, invece, va trovata nei libri e non sui Social Network: rendere vivo il passato, mostrarcelo popolato da esseri umani come noi di cui cogliere le similitudini e di cui potere apprezzare differenze.

Ovviamente queste ricostruzioni, questi brevi re-enactment digitali hanno tanti limiti, ma il merito sta nella loro accessibilità e di potere arrivare per caso o per scelta agli occhi di piccoli e giovanissimi appassionati instillando in loro quella fiamma che è l’amore del passato che ha sempre guidato i grandi archeologi e i ricercatori più appassionati. Heinrich Schliemann lo scopritore di Troia, ad esempio, era un imprenditore rimasto così colpito da piccola dell’illustrazione della città in fiamme in una copia dell’Iliade donatagli dal padre pastore luterano, che diventato ricco decise di liquidare la sua società per finanziare gli scavi che avrebbero portato a ritrovamenti molto importanti sulle tracce delle storie raccontare da Omero.

Cosa potrà fare un piccolo Schliemann di oggi che dal suo smartphone o tablet riesce a vedere ricreate le scene più importanti del passato, scoprendo quanto tutti noi – con le debite differenze dovute all’evoluzione – assomigliamo ai nostri antenati?