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Turning Point: The Bomb and the Cold War. President Ronald Reagan Meeting with Mikhail Gorbachev at the Geneva Summit in 1985. Cr. Courtesy of Netflix
Una storia importante e approfondita della Guerra Fredda che inizia e termina idealmente con le due armi più pericolose inventate dall’uomo: la bomba atomica e… i Social Media.
Questa – in estrema sintesi – la lucida narrazione di Turning Point: La bomba atomica e la guerra fredda di Brian Knappenberger, disponibile in nove intensissime puntate su Netflix, che tutti dovrebbero vedere per capire come ci siamo trovati in questa situazione con il mondo in fiamme e alcune zone del pianeta in un costante stato di violenza, guerra e sopraffazione.
Una serie utile per capire quale sia l’attuale situazione del nostro mondo e con una sconvolgente verità legata non solo al nostro presente, ma anche e soprattutto ad un possibile futuro, ovvero la probabilità che troll e agenti provocatori al servizio di Russia e altri stati totalitari utilizzino i Social Media come una clava contro l’Unione Europea e gli Stati Uniti.
“L’idea di fondo è quella di dividere”, viene spiegato nel documentario: “polarizzare le opinioni all’interno dei differenti paesi e mettere le persone le une contro le altre, perché più tempo passeranno a lottare tra di loro, meno ne avranno da dedicare all’impegno contro l’espansione della Russia e per provare ad arginare le pulsioni di vendetta del suo leader Vladimir Putin” che, per inciso, viene descritto come un astuto affarista capace, in meno di vent’anni, di trasformarsi da oscuro funzionario del KGB all’uomo più ricco del mondo, in virtù di tangenti e ruberie di ogni genere che nel documentario vengono dettagliate con inquietante dovizia di particolari.
Un racconto sconcertante che con profusione di dettagli, documenti e testimonianze dirette racconta l’impegno nello sconvolgere l’ordine mondiale e nella creazione di vere e proprie squadracce di troll che usano i Social Media per destabilizzare e conquistare il mondo non solo digitale.
Questi manganellatori del web, che, spesso, si nascondono dietro foto profilo vaghe e identità apparentemente demenziali, sono quelli che quando pubblicate un’opinione politica, senza averli mai visti e conosciuti, arrivano sul vostro profilo da chissà dove, chissà come e oltre a darvi un po’ di olio di ricino digitale con insulti pesanti, vi “bastonano” metaforicamente, vomitandovi addosso lezioni di storia deformando i fatti e offrendo agli altri una visione totalmente distorta di quanto detto e raccontato.
La Storia ufficiale, quella studiata e approfondita nelle Università non conta: si alimentano odi, dietrologie, complottismi, minacciando di morte e insultano a raffica e senza pietà.
Ovviamente sono presenti soprattutto sui grandi numeri, attirati come vespe impazzite dall’odore della possibilità di scontrarsi e di creare zizzania.
Non si tratta, certo, esclusivamente di agenti pagati da Mosca, ma se notate su tematiche come Brexit, elezioni americane, elezioni politiche, idee di partiti non graditi al Cremlino ecco apparire nugoli di commenti di gentaglia prezzolata che – purtroppo – come spiega questo documentario non sono appartenenti alle celebri e oramai proverbiali “legioni di imbecilli” citate da Umberto Eco, bensì a gruppi di disturbo in grado di provare a ferire a morte la democrazia occidentale in cambio dell’autoritarismo moscovita.
L’esplosione di bot rappresenta un esempio di una tattica di manipolazione dei flussi su una rete sociale. Questo comportamento mira a generare un alto traffico e a far diventare virali contenuti falsi o fuorvianti.
Disinformazione e propaganda: l’uso di troll e bot per diffondere disinformazione e propaganda è una pratica preoccupante. Questo può influenzare l’opinione pubblica, creare divisioni e minare la fiducia nelle istituzioni e nei media. È importante che le persone siano consapevoli di queste tattiche e siano in grado di valutare criticamente le informazioni che incontrano online.
Questa la tesi della serie diretta da Brian Knappenberger, resa ancora più inquietante dal racconto che porta direttamente dal progetto Manhattan e Oppenheimer ai Social Media e alla disinformazione diffusa dalle piattaforme di maggiore successo dove gli uomini e le donne di Putin operano come lui stesso, agente del KGB, svolgeva le sue funzioni in Germania Est poco prima della caduta del Muro di Berlino.
Pur con una certa sobrietà è evidente che l’idea di una guerra non più fredda, bensì diventata “bollente”, inquieta non soltanto noi spettatori, ma anche tutti gli intervistati preoccupati delle possibili escalation di una Storia che si muove pesantemente e – tendenzialmente – stritolando la libertà dei singoli.
Un’apocalisse prossima ventura nei confronti di cui rispondere tutti quanti con consapevolezza e preoccupazione, soprattutto per quello che riguarda l’utilizzo della rete come fonte di informazioni e di coesione.
Secondo Tom’s Hardware, la rivista italiana di tecnologia, chi pensa che la questione troll non riguardi direttamente il nostro paese, si sbaglia e profondamente. Tutte le democrazie occidentali sono sotto attacco e la nostra non fa eccezione: “ Subito dopo le dichiarazioni di Putin sul recente attacco dell’Isis a Mosca che, invece, veniva attribuito ai servizi segreti ucraini, si è scatenata una tempesta di bot sui social media, in particolare su X che hanno bersagliato gli utenti italiani con messaggi che riecheggiavano le accuse non comprovate del presidente russo”, scrive Marco Silvestri, che cita lo studio di Matteo Pugliese, un ricercatore italiano specializzato in disinformazione, che ha etichettato questa mobilitazione come “senza precedenti per scala e intensità”.
Prosegue Silvestri: “I bot, tutti creati nel marzo del 2024 senza seguiti né seguaci, diffondevano tweet che imputavano a Kiev l'attacco terroristico. Questi post erano caratterizzati da biografie legate al mondo delle criptovalute e contenevano solo due pubblicazioni: una della settimana precedente sull'argomento Bitcoin, e l'altra con un'immagine del luogo dell'attacco accompagnata da testi in italiano che incolpavano l'Ucraina. I messaggi, che sembravano essere stati tradotti automaticamente a causa dell'uso innaturale di verbi e sintassi, sono stati seguiti da post simili in tedesco e francese.
Tale strategia, utilizzata in passato per influenzare le elezioni occidentali, sembra essere stata impiegata in questa occasione in maniera massiva e intensiva, specialmente sull'opinione pubblica italiana. Queste manovre segnalano uno sforzo in espansione di Mosca volto a influenzare il discorso pubblico in Italia e in altri paesi europei, con teorie del complotto infondate, proprio in vista delle elezioni europee”.
Ed è così che la disinformazione serve ad alterare in maniera importante il contesto politico e sociale internazionale istillando rancore tra persone che, forse, la possono pensare diversamente, ma che certo non hanno motivi di odio così profondi.
Turning Point: The Bomb and the Cold War è un’opera che oltre ad informare fa paura: mentre lo si guarda arrivano sui nostri smartphone le notifiche che ci segnalano messaggi simili a quelli che – alla fine della serie – vediamo rappresentati come segnale di destabilizzazione politica e, ahimè, evidentemente anche militare.
Questo documentario prova che il legame tra la Guerra Fredda e la disinformazione su Internet non sia solamente storico e concettuale. Durante la Guerra Fredda, sia gli Stati Uniti che l’Unione Sovietica hanno utilizzato la disinformazione come strumento di intervento politico e conflitto, attraverso guerre per procura, interferenze elettorali e campagne di disinformazione per promuovere i propri interessi. Queste tecniche includevano la creazione di narrazioni false o ingannevoli per influenzare l’opinione pubblica o per destabilizzare il nemico.Con la nascita di Internet, la disinformazione ha assunto nuove forme e ha raggiunto una diffusione molto più ampia. La rimozione di fonti d’informazione centralizzate e condivise e l’aumento del numero di attori coinvolti nella diffusione delle informazioni hanno creato un paesaggio sostanzialmente diverso. Oggi, la disinformazione su Internet può essere diffusa rapidamente e su larga scala, spesso senza che le fonti siano facilmente identificabili o responsabili. È per questo che la visione di Turning Point può forse perfino salvare delle vite: le nostre.