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Shirley Temple (Annex)
La presenza non supervisionata di giovanissimi sui Social Media è sempre più frequente e viene notata solo in caso di disgrazie quando i media parlano di “gioco fatale” o di “sfida letale” con un minore, come nella peggiore delle favole postmoderne, rimasto vittima di qualcosa di più grande di lui.
Un paio di giorni con pedagoghi, psichiatri dell’età evolutiva, esponenti delle forze dell’ordine tutti impegnati a spiegare dove tutti hanno sbagliato pressoché tutto e poi si ricomincia. Il tema, però, è che se da un lato i Social abbondano, dall’altro genitori senza scrupoli mercificano la presenza dei propri figli, provando a tutti i costi a trasformarli in piccole star del web o a raccontarne la vita quotidianamente e costantemente come in una sorta di Truman Show imposto e da cui è impossibile venire fuori.
Un fenomeno inevitabilmente enfatizzato dai lockdown e dalla convivenza coatta in appartamenti dove l’attrattiva di quello che c’è fuori diventa sempre più forte. Del resto se non hai successo la tua continua esposizione suo Social sviluppa sentimenti di logorio psicologico, se hai successo e poi questo passa, non sei supportato e ti trovi in caduta libera senza alcun supporto.
Perché questo Showbusiness di serie B, che genera tanti soldi, non fa sconti a nessuno ed ecco che nessuno si preoccupa di quello che potrebbe accadere dopo. Oggi hai successo, ti mungiamo come Youtuber, instagrammer, influencer e poi… e poi si vedrà. Ecco quindi che esistono famiglie evidentemente disfunzionali perfino agli occhi di chi è digiuno di qualsiasi nozione psicoanalitica che passano le loro giornate in una sorta di reality show autarchico e autogestito, con le regole dei format adattate al loro misero vivere quotidiano in cui case di periferia diventano il set tragicomico di una versione “all’amatriciana” di Al passo con i Kardashian.
Si può parlare di prostituzione minorile digitale? Probabilmente sì, perché bambine e bambini in pose ammiccanti o da macho sul web, celebrati, vezzeggiati, lodati, coccolati, idolatrati dai loro genitori fanno davvero una brutta impressione e possono facilmente cadere preda degli orchi e dalle streghe che dai tempi ancora più remoti di quelli di Hansel e Gretel popolano la nostra realtà non solo virtuale.
In questo senso è, spesso, sorprendente quando tra le richieste di amicizie che riceviamo troviamo, sempre più di frequente, quelle di bambini, ragazzette e ragazzini saltati fuori dal nulla, che non sono amici, né compagni di scuola dei nostri figli, dei nostri nipoti e neppure dei figli e dei nipoti del nostro vicino.
Chi sono, quindi, questi bambini? Da dove vengono e soprattutto cosa possono volere da uno scambio di amicizie? Attori e attrici in erba, piccoli fenomeni o aspiranti tali del mondo digitale che tra una poesia e un dettato sono stati abbandonati all’angolo dell’autostrada digitale, consentendo loro di entrare nel bosco digitale, forse, alla ricerca di una nonna che non hanno mai incontrato o che in quel momento si sta facendo dei selfie, giocando a Burraco.
E che dire, invece, di quelle donne (ma anche di quegli uomini) separati, divorziati, single che tra un selfie e l’altro con pochissimi centimetri di abiti indosso, poi, sfoderano una foto di compleanno del proprio figlio o, peggio ancora, mentre questi fanno dirette ultrasexy, compaiono con la loro testolina a chiedere una merenda, una pulizia del naso, una mezz’ora extra di gioco al computer…
Cosa penseranno, diventati adulti, questi ragazzini dei loro genitori che parlano con uno schermo dove una platea immaginaria di poche persone tutt’altro che selezionate sta lì a sbavare e a commentare? Come cresceranno questi ragazzi senza privacy, testimoni della dissoluzione della linea di confine tra pubblico e privato, tra domestico ed esterno? Nessuna demarcazione, nessun limite, nessun supporto per diventare “divi a tutti i costi”, meteore di un entertainment selvaggio e crudele. E dire che se una cosa abbiamo imparato dalla Storia del cinema è che i bambini prodigio, generalmente, fanno una pessima fine.
“Ho capito di essere diventata famosa il giorno in cui, in un centro commerciale, Babbo Natale mi ha chiesto un autografo”. Così Shirley Temple, l’icona di tutti i divi bambini ricordava il “trauma” derivato dalla celebrità. In questo senso la triste vicenda di Gary Coleman, l'indimenticabile Arnold televisivo morto per un'emorragia cerebrale è stata soltanto una delle tante storie di ragazzini famosi in tutto il mondo che, pian piano, all’alba dell’adolescenza scoprono di doversi adattare ad una nuova vita, spesso, lontano dai riflettori.
Qualcuno ce la fa. Altri no: Uma Thurman, Ethan Hawke, Kirsten Dunst, Scarlett Johansson, Christina Ricci, Gwyneth Paltrow, Leonardo Dicaprio, Anna Paquin e Natalie Portman hanno vissuto un passaggio abbastanza naturale all’età adulta. Questo grazie ad un talento particolare, ma soprattutto ad un entourage famigliare e professionale che ha saputo proteggerli da tentazioni ed errori.
Spesso, però, ci vogliono comunque tempo e pazienza per sapersi adattare alla nuova condizione. Il protagonista de L’impero del sole di Steven Spielberg, Christian Bale ci ha messo quasi venti anni per tornare in auge come Batman nella serie diretta da Christopher Nolan. Drew Barrymore, dopo E.T., è finita in un centro di disintossicazione ad appena tredici anni per poi, ricostruire pian piano una nuova carriera. A fronte di alcuni più “testardi” che “fortunati” ci sono altri che si adattano ad avere ruoli minori come Haley Joe Osment (Il sesto senso) e i vari appartenenti della famiglia Culkin a partire da Macaulay.
Era già capitato in passato a Ricky Schroder rivelato da Il campione, a Jackie Coogan de Il monello di Charlie Chaplin star della televisione e Zio Fester della Famiglia Addams, ad Andrea Balestri, il celebre Pinocchio delle serie Tv diretta da Luigi Comencini a all’oggi quarantenne Justin Henry che per Kramer contro Kramer è entrato nella storia come il più giovane attore mai nominato all’Oscar. Talora, la fine del successo, però, non coincide, purtroppo, solo con quella della carriera.
Dana Plato e Todd Bridges gli altri due protagonisti de Il mio amico Arnold hanno fatto una brutta fine tra indebitamenti e droga. Bobby Driscoll, ex prodigio di film Disney come L’isola del tesoro, nonché modello ispiratore per il disegno di Peter Pan, è morto nel 1968 abbandonato a 31 anni in un appartamento di New York. Ritrovato qualche giorno dopo il decesso, fu riconosciuto solo attraverso le impronte digitali di quelle mani che a tredici anni avevano stretto l’equivalente dell’Oscar per i giovani attori.
L’ex Baretta, Robert Blake condannato per l’omicidio della moglie era il fedele amico di Rin Tin Tin nel 1947. Fortunatamente, però, c’è anche la possibilità di una vita normale: Robert MacNaughton, l’altro bambino di E.T fa il postino in una cittadina di provincia, mentre la stessa Shirley Temple ebbe ad iniziare una carriera politica, diventando addirittura ambasciatrice degli Stati Uniti.
Jodie Foster, a tredici protagonista di Taxi Driver di Martin Scorsese osservava: “Crescendo sai di dovere diventare qualcos'altro, cercando una tua identità creativa e professionale molto forte. Non rimpiango nulla: mi domando chi sarei stata se non avessi fatto questa vita”.
Quanti dei divi bambini del web potranno, domani dire altrettanto? Perché purtroppo, anche se non ce ne rendiamo conto, l’alternativa è tra il futuro alla Jodie Foster e quello alla Judy Garland, drogata sin da quando era bambina e rimasta vittima della sua celebrità per tutta la vita, così come ci ha ricordato l’interpretazione da Oscar di Renée Zellweger nel recente Judy.
Oppure c’è una terza via che è quella dell’oblio, quella del grande futuro dietro alle spalle, dell’essere dimenticati ed ignorati per sempre…insomma, ogni volta che un ragazzino o una ragazzina apre un account social ecco che le porte dell’abisso iniziano a spalancarsi. Oppure no. Dipende, come sempre, da chi circonda questi bambini e da quello che hanno studiato. Perché la verità è – per dirla con Elsa Morante – che forse anche il mondo digitale sarà salvato dai ragazzini e che, alla fine, i figli (anche nei selfie) sono migliori dei padri.