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illustrazione originale di Mara Cerri
“Scrivo in prima persona per essere sicuro di essere ancora vivo. Scrivo in terza persona per essere sicuro di non essere solo una proiezione del mio proprio ego, che sono a tre dimensioni e possiedo un corpo. A volte spingo un bicchiere e osservo con soddisfazione che cade e si frantuma. Significa che ci sono ancora e ne sfido le conseguenze”.
Prima di tutto, cominciamo dall’editore: Voland è una casa editrice indipendente che ha fatto della ricerca letteraria in Europa, e soprattutto nell’Europa Orientale, la sua cifra distintiva permettendoci, insieme ad altre, di andare oltre la dittatura pressoché ininterrotta della narrativa anglofona. Nel suo catalogo, tradotti magnificamente da Giuseppe Dell’Agata, ci sono tutti i libri di Giorgi Gospodinov, il più importante scrittore bulgaro vivente, letto e apprezzato in tutto il mondo, nominato spesso nei più importanti premi letterari internazionali (in Italia ha vinto il premio Strega Europeo con il romanzo Cronorifugio).
Tra i suoi lavori, che spaziano dalla poesia al racconto breve al romanzo, Fisica della malinconia occupa un posto importante, è stato il testo con cui molti lettori italiani lo hanno conosciuto, me compresa. Ed è, a riguardarlo oggi, a distanza di anni e di tanti altri libri, una sorta di summa dei suoi temi: il passato, l’infanzia, gli oggetti che sprigionano memoria, la possibilità – dolorosa ed entusiasmante insieme – di vivere altre vite attraverso quelle degli altri (i racconti, le parole), i viaggi nel tempo, le molte frammentazioni dell’io.
Leggendolo, ricordo di aver provato smarrimento e di essermi chiesta più volte che nome avrei potuto dare al viaggio in cui mi stavo avventurando: Fisica della malinconia non è una raccolta di racconti, non è una silloge poetica e non è nemmeno un romanzo, a meno di non ampliare il senso di questa parola. Ed è proprio quello che fa Gospodinov: ampliare il campo semantico delle parole, a partire da “malinconia”, un termine che diventa materico, pulsante, il contrario dell’aura etera con cui siamo abituati a pensarlo.
La malinconia gospodiniana ci fa andare indietro negli anni, creando cortocircuiti inattesi e facendo incontrare la mitologia con la contemporaneità senza attualizzarla ma rendendola senza tempo. Tutti noi possiamo incontrare il Minotauro, ma solo chi vede oltre riesce a farne canto, come in questo libro. L’empatia ossessiva di cui soffre il protagonista del libro, quella che lo spinge a immedesimarsi a poco a poco in tutto il creato, è insieme malattia e cura.
Attraverso la torsione, invece del ricordo, nelle esperienze di questo libro si vive anche una circolarità, in un film che volesse raccontarlo dovremmo chiederci di continuo se non abbiamo scambiato la fine con l’inizio, un po’ come nella vita.