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Julio Cortázar
Tutte le storie di case infestate dai fantasmi sono destinate al cinema, perché non c’è niente di più succosamente sceneggiabile dell’invisibile. Tutte le storie di stanze e spettri ci appartengono, perché una volta o l’altra tutti abbiamo avuto la sensazione di non essere soli a casa mentre eravamo soli a casa.
I più fantasiosi e liberi non si sono scioccati a pensare in termini di ectoplasmi, i più razionali hanno trovato tutte le spiegazioni logiche possibili perché sia mai che ci si permettesse di credere a qualcosa che non esiste. Gli scrittori, al contrario, sono interessati solo a quello, altrimenti perché mai passerebbero tanto tempo in compagnia di personaggi inventati?
Casa occupata, forse il più bel racconto dello scrittore argentino Julio Cortázar (lo trovate nella raccolta Bestiario), parla di un fratello e di una sorella che, rimasti soli al mondo, vanno ad abitare insieme nella casa di famiglia, una casa abituata a contenere una decina di persone, al punto che la scelta di starci in due viene subito definita dal narratore “una pazzia”.
Una pazzia come quell’irregolare convivenza: “Ci affacciammo alla quarantina con l’inespressa convinzione che il nostro semplice e silenzioso matrimonio di fratelli fosse la necessaria conclusione della genealogia fondata dai bisavoli nella nostra casa”. Non solo, ma c’è anche la certezza che la casa si estinguerà con loro, ultimi depositari della fine di una famiglia: “Un giorno saremmo morti là, cugini improbabili e schivi avrebbero ereditato la casa e l’avrebbero rasa al suolo per arricchirsi con il terreno e i mattoni; o meglio, noi stessi l’avremmo abbattuta come giustizieri prima che fosse troppo tardi”. Il sinistro presagio che sentite in questa prima pagina è esatto, perché a un certo punto fratello e sorella si accorgono di non essere affatto soli, lì dentro.
Rumori e ingerenze confermano che l’appartamento è abitato da “loro”, così vengono semplicemente chiamati. “Loro” sono fantasmi eterei, presenze ingombranti, creature non antropomorfe (o forse sì) che a poco a poco si prendono tutta la casa, costringendo i protagonisti a rintanarsi in uno spazio sempre più angusto, sempre più asfittico. E, nelle ultime righe, addirittura ad abbandonare l’appartamento, preferendo scappare in strada, perché lì dentro non si può più vivere, quella casa è più che occupata, è di piena ed esclusiva proprietà “loro”.
Di questo meraviglioso racconto, a metà tra il gotico e il thriller psicologico, io vorrei qualcosa di più lungo di un film: vorrei la serie. Sento il bisogno di più puntate per indagare nel rapporto morboso tra fratello e sorella. Sento che non mi stancherei mai di sobbalzare per gli scricchiolii delle porte, per i piccoli inumani soffi di vento. Sento che c’è tantissimo materiale di immagine, e per l’immaginario, e mi piacerebbe tanto starmene inchiodata in poltrona a godermelo.