Nero, lucido e spesso, uguale a quelli che usava a scuola: Quaderno proibito di Alba de Céspedes comincia quando la protagonista Valeria, moglie, madre e impiegata degli anni Cinquanta, con un marito e due figli e una vita come tante, vede un quaderno in una vetrina e d’impulso lo compra.

Ne è attratta ma le fa anche paura, perché non è abituata ad aver segreti, non può permetterseli e quindi si convince che non ne vuole; ha una vita piana, tutta schiacciata sui ruoli, come è comune fra le donne di quell’età, di quella generazione, di quegli anni, e poco importa che sia giovane e desiderabile, un’ombra schiva la precede e la accompagna. Ma quell’oggetto non è solo un oggetto. È qualcosa di molto più sovversivo, profondo, seducente.

Un quaderno vuoto libera un potenziale, la scrittura può diventare esplorazione di sé, viaggio nei propri desideri, nella minuziosa descrizione delle proprie vite, dei conflitti subiti e messi subito a tacere perché tutto resti invariato. A poco a poco, la stesura del diario diventa sempre più pungente e precisa nel raccontare la vita quotidiana di una donna come tante, in apparenza incapace di grandi ribellioni ma in realtà guidata, dalle parole, ad andare oltre la paura di cambiare e ritagliarsi sempre più uno spazio tutto per sé.

Valeria scrive di nascosto a tutti, anche al marito, che la chiama “mammà” e la tratta come una donna senza più vitalità erotica, salvo essere geloso di lei, terrorizzato dal sospetto che possa scrivere lettere a un altro uomo; geloso anche di un quaderno, perché per le donne come Valeria quel tipo di spazio non è previsto, è ridicolizzato come un’anomalia, una frivolezza. Intanto, i pomeriggi in solitudine con il direttore del suo ufficio le rivelano una nuova parte di sé.

Valeria, scrivendo, prende coraggio, perché scrivere è vivere, non c’è contrapposizione tra le due cose, all’inizio aveva mille ansie di essere scoperta, poi parlando del quaderno annota: “ormai è diverso: in esso ho registrato la cronaca di questi tempi, il modo in cui, a poco a poco, mi sono lasciata trascinare verso atti che condanno e dei quali, tuttavia, come questo quaderno non posso più fare a meno. Ormai ho preso l’abitudine di mentire; il gesto di nascondere il quaderno mi è familiare, sono divenuta bravissima nel trovare il tempo per scrivere; ho finito per abituarmi a cose che, in principio, giudicavo inaccettabili”.

Un film tratto da questo capolavoro, che deve essere considerato un classico e studiato nelle scuole, potrebbe dispiegarsi in un arco narrativo in cui l’agente che modifica è la scrittura. Racconterebbe la vita quotidiana e la società degli anni Cinquanta attraverso lo sguardo di una donna che è tutte le donne, dall’esistenza forzatamente quieta e dai desideri sopiti ma non taciuti; racconterebbe la storia della sua emancipazione non urlata e della sua conquista di pezzi di sé come preludio a una nuova epoca, a nuovo decennio di liberazione, una liberazione sempre in compimento e mai del tutto compiuta.