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illustrazione di Mara Cerri
Poco più di dieci anni fa, Eleonora C. Caruso esordì con un libro pubblicato da Indiana, una casa editrice che dava risalto a scrittrici e scrittori originali su cui faceva un lavoro di scouting intenso e per nulla furbo, per nulla compiacente. Così era anche il suo romanzo Comunque vada non importa, una voce tesa, violenta e dritta come un proiettile, una lingua letteraria e contemporanea che non si poteva dimenticare.
Indiana non esiste più, ma la voce di quella scrittrice invece esiste eccome, ha attraversato altre storie e altri romanzi tutti con la stessa intensità e la ritroviamo oggi nel catalogo Mondadori, l’ultimo libro ha un titolo doloroso e potente, che suggerisce l’immagine di un treno appena passato, di un’occasione fuggita: Doveva essere il nostro momento. Caruso parla qui di una generazione precisa, quella che non è nata digitale e ha creduto, per poco ma non per pochissimo, che internet fosse un ampliamento dei confini, una svolta epica, la benedizione di un’epoca, il fuoco rubato da Prometeo.
Di tutta questa parabola, Caruso dà contezza in un romanzo che ha la precisione di un saggio e l’elettrica vibrazione di un film da cui non ti riesci a staccare, anche perché parla di una vita che conosci bene: la tua. A metà del libro, per esempio, si legge: “Da due settimane Ella Santi era in crisi perché i suoi post sponsorizzati non performavano più bene come un tempo. Si riferiva al tempo in cui gli adv erano appena stati ufficialmente introdotti e il pubblico non aveva ancora educato l’algoritmo della piattaforma a non mostrarli – perché l’algoritmo impara dal pubblico, non viceversa. Meglio ancora, il tempo poteva essere quello in cui non era affatto necessario segnalare gli adv, e gli influencer potevano semplicemente fingere di non avere partnership commerciali e intascare soldi in nero. Ma i soldi non erano la cosa che più li entusiasmava, quella era l’attenzione. Subito dopo, venivano i regali”.
Questa capacità di seguire il ritmo del presente, tra sette religiose, viaggi in macchina, colonne musicali sintomatiche è una specie di dono di questa scrittrice capace di trasformare l’invasione del vuoto in letteratura, accorciando e allungando con maestria le distanze tra chi siamo stati, chi volevamo essere e chi siamo diventati davvero. Eleonora Caruso mostra le nostre piccole miserie e i nostri tentativi goffi di esistere nonostante tutto, di resistere anche a noi stessi. Nella scena italiana è un’autrice singolare, che non somiglia a nessun’altra, che non rinuncia alla trama ma sa come fare di ogni dettaglio una questione di stile.