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Una storia vera © BIM DISTRIBUZIONE
Fin dall’inizio, da Cristoforo Colombo ai Padri Pellegrini, il viaggio è inscritto nel codice genetico dell’immaginario americano. Sarà il western a rappresentare miticamente la conquista dei territori dell’Ovest e la nascita di una nazione, attraverso la corsa all’oro, le guerre contro gli indiani, la traversata delle carovane dei pionieri, senza dimenticare i conflitti tra coloni e allevatori, tra piccoli e grandi ranchers, tra sceriffi e svaligiatori di banche.
Il primo, grande western di John Ford, Il cavallo d’acciaio (1924), rievoca la costruzione della ferrovia transcontinentale che collega la costa atlantica alla California. Le riprese si svolgono nel New Mexico, in Arizona, nello Utah, tra neve, tempeste, temperature di venti gradi sotto zero, allietate soltanto dai bootleggers che vendono clandestinamente il whiskey.
Solo dieci anni dopo, la giovane ereditiera Claudette Colbert e lo squattrinato giornalista Clark Gable in Accadde una notte (1934) di Frank Capra viaggiano sul nightbus della Greyhound da Miami a New York, lei in fuga dalla famiglia, lui a caccia di uno scoop. “A simple story, for simple people”, con i suoi cinque Oscar è una delle commedie più note degli anni trenta, rigorosamente on the road, in cui i due protagonisti si muovono in autobus, in macchina, in autostop, tra aree di servizio e motel. Ma è anche un viaggio, non privo di momenti drammatici in una società in crisi segnata dalla fame.
Alla fine degli anni sessanta, Easy Rider: libertà e paura (1969) di Dennis Hopper rinnova il modello dei road movie, attingendo alla letteratura beat e allo sperimentalismo del cinema precedente. Sulle loro choppers, le moto dai lunghi manubri allora di moda, Peter Fonda e Dennis Hopper attraversano le autostrade e i paesaggi degli States diretti al carnevale di New Orleans come in un western moderno che va ancora una volta alla scoperta della nuova frontiera e delle sue profonde contraddizioni. Sensibile alle aspettative del pubblico giovanile, all’epoca viene applaudito come il film-manifesto della cultura alternativa, sintonizzata sulla colonna sonora rock di Jimi Hendrix, Robbie Robertson, Bob Dylan.
Sembrerà paradossale, ma il film di viaggio più controcorrente degli anni novanta l’ha realizzato David Lynch, il regista delle strade perdute e delle inquietudini dell’inconscio con Una storia vera (1999), dove il sessantatreenne Richard Farnsworth si avventura da solo a bordo di un vecchio tagliaerba, da Laurew, Iowa, a Mount Zion, Winsconsin, oltre trecento miglia, per andare a trovare il fratello Harry Denn Stanton che non vede da molto tempo. Nella sua scrittura di classica semplicità, il film è l’elogio della lentezza che consente di immergersi nel paesaggio, fermarsi durante il temporale, guardare il cielo stellato. Il senso di stupore anima un’opera straordinaria in cui la riflessione sulla memoria, il silenzio, la serenità, si accompagnano alla vita di provincia dove personaggi affettuosi e umanissimi sanno che cos’è la solidarietà.