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Claudia Cardinale in Il giorno della civetta di Damiano Damiani
Se l’anno precedente A ciascuno il suo di Elio Petri aveva raggiunto il mezzo miliardo di lire, nel febbraio ‘68 Il giorno della civetta di Damiano Damiani, con il suo miliardo e trecentomila, si assicura il decimo posto nella classifica degli incassi, ufficializzando la nascita del mafia movie. Sceneggiati entrambi da Ugo Pirro, i film sono tratti da due gialli di Leonardo Sciascia, scarni e essenziali, di poche parole come il loro autore famoso per i lunghi silenzi.
Solido narratore per immagini, il regista friulano si è guadagnato da tempo un posto di spicco nel cinema d’inchiesta in cui è uno dei pochi che gira all’americana senza mai perdere di vista – forte dell’esperienza dei fumetti e dei cineromanzi da cui viene il suo gusto per i minuziosi storyboard – il risalto popolare della storia che sta raccontando.
Nonostante abbia più volte detto di essersi identificato con il capitano Bellodi – Franco Nero accetta d’impersonarlo convinto dalla sua compagna Vanessa Redgrave, entusiasta del romanzo: “Sciascia è un grande” - disubbidisce all’esplicito suggerimento dello scrittore di non chercher la femme quando si parla di mafia. Se Rosa Nicolosi, la moglie del primo morto ammazzato, nel libro appare soltanto in un paio di pagine, nel film è presente nel quaranta per cento delle scene, oltre a essere a più riprese l’obiettivo di pesanti allusioni sessuali come “donna chiacchierata”.
Certo, Claudia Cardinale in abitini leggeri senza maniche è il tipo di bellezza cupa e sensuale destinata, con la voce profonda di Rita Savagnone, a accreditare la pista passionale, la storia di corna che riflette la sua ombra minacciosa sulla carta geografica dell’isola. Si direbbe che nella sua prima trasferta siciliana Damiani sacrifichi l’inchiesta a favore dello spettacolo.
Fin dall’inizio di fronte al romanzo, quasi un infilmabile pamphlet, non esita a tagliare tutti i colloqui tra le anonime eccellenze romane che fanno da contrappunto ai drammatici avvenimenti siciliani. La stessa trovata strutturale di ambientare la vicenda nella piazza del paese, mettendo una di fronte all’altra la caserma dei carabinieri e il palazzo di don Mariano, il mammasantissima, col gioco dei cannocchiali contrapposti si risolve in un balletto di ammiccante voyeurismo.
Le sottolineature musicali di Giovanni Fusco, con il solito marranzano, lasciano filtrare inattesi toni da commedia all’italiana, mentre l’uso esasperato del grandangolo deformante nel riprendere i volti dei mafiosi ne accentua la mostruosità. Il mafia movie, sempre in bilico tra affabulazione spettacolare e cronaca criminale, fin dall’inizio della sua lunga fortuna tra cinema e tv mescola stereotipi prevedibili e allusioni maliziose, scontati melodrammi e civilissime denunce.
L’ingresso di don Mariano nella sede della Dc suscita un vespaio di polemiche. Ma quando, dal loro balcone i mafiosi vedono che al posto di Bellodi c’è un nuovo capitano dall’aria condiscendente, sanno di aver vinto.