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Russell Crowe (foto di Karen Di Paola)
“Non c’è alcun coraggio a stare seduti sul divano aspettando che il mondo venga a bussare alla tua porta”. Ecco, di sicuro Il Gladiatore non è uno che sta seduto, quantomeno sul palco. Arrivato all’Auditorium della Conciliazione, ospite della XX edizione di Alice nella Città, per tenere una masterclass Russell Crowe stravolge il piano dell’incontro, organizzato dai direttori Fabia Bettini e Gianluca Giannelli e im-moderato dal giornalista Federico Pontiggia. Scende dal palco, si mette in mezzo al pubblico e passa lui il microfono come un valletto, dettando però le regole: “solo gli studenti di cinema possono fare domande, solo i giovani, non i vecchi come me e voglio parlare di cinema, non voglio che mi si chieda cosa ho mangiato la mattina a colazione”. Quindi la parola ai ragazzi, la traduzione alla mitica Bruna Cammarano e le risposte a chi ormai ha una certa età. D’altronde come lui stesso sottolinea: “Una delle più grandi opportunità che avrete quando sarete invecchiati è che potrete insegnare quello che avete imparato. E io sono vecchio”.
Nato nel 1964 a Wellington in Nuova Zelanda (“ho 58 anni, molti scrivono che sono australiano, ma io vengo dalla Nuova Zelanda e comunque mi sono sempre sentito un outsider da tutto”), comincia a recitare all’età di sei anni perché la madre si occupava di catering nel mondo del cinema e un giorno sul set non c’erano abbastanza bambini così lei lo offrì come volontario (“quando mi dicono: sei un bambino prodigio, rispondo che sono un bambino comparsa”).
Sta di fatto che non ha mai seguito una scuola di recitazione: “Tutto quello che so l’ho imparato lavorando. Da bambino ho fatto qualcosa in tv, poi da adolescente ho fatto un po’ di teatro e parecchi musical come Grease e ben 415 rappresentazioni di The Rocky Horror Picture Show. Al contempo lavoravo nei night club come deejay, facevo i cocktail in un pub ed ero un fottutissimo bravo cameriere. Ero ossessionato dalla performance. Questo sono io: non sono un ragazzo di Hollywood”.
A 25 anni il suo primo lungometraggio come attore: Giuramento di sangue (1990). “Lì avevo già fatto duemila performance dal vivo con la band sul palco, suonando musica. Sono entrato nel mondo del cinema dopo una grande fatica. Un sogno che si è realizzato e di cui non ho mai parlato. Quando mi chiedevano che desiderio avevo? Non dicevo mai che volevo fare l’attore, dicevo che mi andava bene suonare”.
E sui sogni davanti ai tanti giovani che sono venuti ad ascoltarlo ci tiene a precisare: “I desideri sono possibili, non lasciate nessuno dirvi che non lo sono. Le persone dicono anche che ti devi concentrare solo su una cosa, non ascoltate queste stronzate. Sono fortunati quelli che hanno una passione nel proprio cuore e desiderano realizzare qualcosa. Molti non sanno quel che vogliono fare. Quindi perseguite le vostre passioni”.
Tanti i ruoli che ha interpretato. Uno su tutti: Il Gladiatore nel film di Ridley Scott che gli ha consentito di aggiudicarsi il Premio Oscar come miglior attore protagonista nel 2001. Ma anche: il matematico John Nash in A Beautiful Mind di Ron Howard (grazie al quale ha ottenuto un Bafta, un Golden Globe e la terza candidatura all’Oscar) e il pugile James J. Braddock in Cinderella Man sempre di Ron Howard.
“Non sono uno che ambisce determinati ruoli, né voglio essere il millesimo attore che fa Shakespeare. Preferisco un ruolo nuovo. Magari ho un ego spropositato, ma io sono così. Un po’ di ego comunque ti serve per auto proteggersi perché il nostro lavoro è fatto di rifiuti. Non troppo però. Sul set devi compiacere la visione del regista. Se ti dice che vuole una certa sfumatura di viola tu glielo dai, così io facevo con Ridley Scott. Comunque amo i dialoghi. Per me conta la storia anche se non sono protagonista”.
E sempre sul lavoro dell’attore: “Nel cinema ci sono due regole: dettaglio e collaborazione. La cosa importante per me è la performance. Devi avere il controllo. Bisogna essere i burattinai di sé stessi. Non è che uno prende e si butta giù dalla scogliera, bisogna ripetere più volte le scene. È importante la parte della ribellione, ma richiede anche equilibrio e senso di autocontrollo. Ogni singola performance è una sfida. Sicuramente A Beautiful Mind mi ha fatto impazzire perché abbiamo affrontato i vari aspetti della malattia e i sedici tic, che dovevo rappresentare. Anche Cinderella Man è stato duro dal punto di vista fisico perché abbiamo girato per trentasette giorni sotto la pioggia. Di recente ho fatto il film L’esorcista del Papa, avevo a che fare con un ragazzino indemoniato e vederlo con gli occhi color sangue mi faceva stare male anche perché era tremendamente bravo”.
Delusioni? “Quelle sono su base quotidiana. Magari sto facendo un ruolo importante e arrivo a casa distrutto e triste. Ma che devo fare? Bisogna convivere con questo. Poi per esempio sono rimasto deluso dalle scene che hanno scelto di mettere in postproduzione del mio personaggio in Les Misérables. Mi è dispiaciuto molto anche perché recitare con quel cast è stata una delle più grandi esperienze della mia vita”.
Infine, l’attore che è riuscito a portare l’immagine di Roma nel mondo ha ricevuto il Premio Speciale. Speciale come il suo legame con la città eterna, che non a caso ha scelto per il lancio mondiale della sua opera seconda Poker Face, thriller che segna il suo ritorno dietro la macchina da presa otto anni dopo l’esordio con The Water Diviner. Il film sarà proiettato in anteprima ad Alice nella Città in coproduzione con la Festa del Cinema.