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Ron Howard sul set di Eden
Dovremo scappare su un’isola deserta, come i personaggi del suo ultimo film? Non lo esclude Ron Howard. Il regista americano, democratico di lungo corso, è preoccupato della piega che ha preso la politica americana, soprattutto dopo la vittoria di Trump, un ulteriore tassello di un mondo che, a suo giudizio, sta diventando sempre più minaccioso: “Siamo nel bel mezzo di una nuova rivoluzione industriale, l’impatto delle nuove tecnologie è ancora lontano dall’essere compreso a pieno, l’equilibrio con la natura è alterato. Tuttavia dobbiamo continuare a rimanere positivi”. Come? “Rimanendo cittadini democratici responsabili”.
Il vecchio ottimismo di Richie Cunningham sembra non avere abbandonato il filmaker di Duncan, catapultato al Torino Film Festival per ricevere la Stella della Mole – una delle tante assegnate quest’anno dalla kermesse diretta da Giulio Base, che ha voluto onorare al suo debutto da direttore Giancarlo Giannini, Rosario Dawson, Matthew Broderick, Sharon Stone, Vince Vaughn, Michele Placido, Ornella Muti, Julia Ormond, Emmanuelle Béart e Alec Baldwin – e presentare in anteprima internazionale Eden, il film di apertura di TFF 42. “Robinson Crusoe che incontra Chi ha paura di Virginia Woolf, lo ha definito Variety. Per Howard un nuovo racconto sulla sopravvivenza di essere umani in condizioni estreme, come l’Apollo 13. Qui lo spazio è un’isola, una delle più inospitali al mondo: “Mi sono imbattuto in questa storia circa 15 anni fa, durante un viaggio di famiglia alle Galapagos. È un posto in cui ho sempre voluto andare, da quando ho visto per la prima volta le foto della fauna selvatica, delle iguane e degli uccelli insoliti, mentre sfogliavo una rivista del National Geographic all'età di otto o nove anni – ricorda Howard -. Ho sempre voluto andare, e alla fine l'ho fatto. Ha superato tutte le mie aspettative. Lì, mi sono imbattuto in questa storia. Era così affascinante per me che ho iniziato a leggere tutto ciò che potevo sulle tre unità di persone che hanno scelto di provare a uscire dalla rete e reinventare le loro vite in un momento in cui il mondo stava attraversando un tremendo tumulto. Rifiutavano tutto questo come gruppi individuali e pensavano di poter cambiare le loro vite e ricominciare da capo alle Galapagos”.
È il 1929 e, mentre la catastrofe della Prima Guerra Mondiale è finita da tempo, il mondo è precipitato nel collasso economico. Friedrich Ritter, un medico tedesco che ha voltato le spalle alla società per andare con la compagna Dora sull'isolata isola verde di Floreana, nella parte meridionale dell'arcipelago delle Galápagós in Ecuador, crede che ciò che ci attende sia la distruzione totale del vecchio ordine, con la possibilità che una nuova utopia possa essere però edificata sulle sue macerie. E chi, se non lui, che è riuscito a sopravvivere alle condizioni estreme dell’isola, può costruire le fondamenta teoriche di questo nuovo ordine? Sta lavorando, con furia messianica, al manifesto dell’Eden di domani ma senza fare i conti con il nemico più insidioso di tutti: se stesso. L’arrivo sull’isola di un altro gruppo di cercatori di fortuna metterà a repentaglio in modo drammatico il fragile equilibrio che i Ritter avevano costruito.
“Di questa storia ero attratto soprattutto dal modo in cui i personaggi evolvono ed entrano in conflitto tra loro”, spiega Howard. Che si è basato soprattutto sulle due biografie esistenti sul “mistero Floreana” – il libro di Dora e quello di Margaret, due delle tre donne implicate in questa assurda vicenda – e sulle riprese effettuate all’epoca da Allan Hancock, che andò a visitarli e fotografarli (le immagini vengono mostrate prima dei titoli di coda).
Eden rende orgoglioso Howard anche per il coinvolgimento nel progetto di un cast di prim’ordine, da Jude Law ad Ana De Armas, da Sidney Sweeney a Vanessa Kirby e Daniel Brühl: “Sono stati estremamente coraggiosi nel calarsi fisicamente ed emotivamente in un progetto difficile. Sono stato fortunato”.
La questione ecologica, una delle tante che fanno da sfondo alla vicenda, è quella che “tutto sommato viene risolta con una forma di cooperazione tra la natura e i personaggi”, mentre l’ultima domanda per Howard riguarda il neo vicepresidente americano JD Vance, le cui origini il regista ha raccontato in Elegia americana e che è quanto di più lontano politicamente si possa immaginare da lui: “Al tempo però non era così radicale – spiega - . E non avevamo affrontato il tema politico perché quando stavamo girando il film ero interessato soprattutto alla sua educazione e alla storia di sopravvivenza. Ciò non significa che non sia deluso dalle cose che dice oggi. Che dire? Le persone cambiano”.