Con i verdetti dei Golden Globes si è aperta ufficialmente la stagione dei premi che si concluderà con la cerimonia di premiazione degli Oscar il 3 marzo al Dolby Theater di Los Angeles. Tutt’altro che stucchevole, il rito che ogni anno si consuma per decretare successi o fallimenti dei film in gara, oltre ad eccitare le diverse tifoserie che sostengono questo o quell’altro titolo (ricordandoci una volta di più che il cinema è un fatto di passione), ha ancora un peso economico specifico e ricadute politiche, negoziali e di status all’interno dell’industria per i diversi attori coinvolti.
Soprattutto, ed è il tema che qui ci interessa, rappresentano una cartina di tornasole ufficiale (per quanto discussa) dello stato di salute del cinema, su cui eseguono una diagnosi qualitativa (laddove gli incassi si limitano a misurarne la temperatura, escludendo di fatto tutto quello che sfugge alle rilevazioni del termometro).

Karla Sofía Gascón in Emilia Pérez
Karla Sofía Gascón in Emilia Pérez
Emilia Pérez. Karla Sofía Gascón as Emilia Pérez in Emilia Pérez. Cr. Shanna Besson/PAGE 114 - WHY NOT PRODUCTIONS - PATHÉ FILMS - FRANCE 2 CINÉMA © 2024. (Shanna Besson/PAGE 114 - WHY NOT PRODUCTIONS - PATHÉ FILMS - FRANCE 2 CINÉMA)

E se pure i Golden Globes non hanno la stessa rilevanza degli Oscar (e ne sono stati spesso contraddetti ai verdetti), i titoli su cui focalizzare l’attenzione quelli sono. Nel caso specifico Emilia Perez di Jacques Audiard e The Brutalist di Brady Corbet, rispettivamente vincitori come miglior film commedia/musical e miglior film drammatico; Wicked di Jon M. Chu, premiato dalla stampa estera con il fantasioso Cinematic and Box Office Achievement; The Substance di Colin Fargeat, di cui è stata premiata Demi Moore e, più defilato, Conclave , che si aggiudica il riconoscimento per la sceneggiatura. Ebbene, che cosa ci dicono questi premi dei film che concludono il primo quarto di secolo degli anni duemila? Al di là delle singole differenze di contenuto, di tono, di esito, ci pare di rilevare una consonanza linguistica e poietica tra i vari titoli in lizza, come se più di un ventennio dopo la nascita del cinema digitale (anche se alcune fonti posticipano al 2009 l’avvento delle immagini di sintesi, con il primo film interamente girato con questa tecnologia: The Millionaire), il superamento tecnico della realtà sia attecchito anche a livello ideologico, estetico e, di conseguenza, etico.

La perdita del mondo sensibile non costituisce neppure più il trauma identitario su cui si è esercitato il cinema del primo decennio degli anni 2000. E anche la renaissance documentaria (Michael Moore a livello mainstream, Gianfranco Rosi nel circuito arthouse, solo per fare due nomi) sembra già aver esaurito la sua spinta propulsiva, dopo peraltro aver evidenziato come la questione ontologica del cinema non possa più risolversi in un ritorno ingenuo alla realtà.

The Substance
The Substance

The Substance

Il dato più interessante non è tanto che i primi due film premiati, nella differenza di narrazione e di intreccio, condividano quest’idea di identità fluida (il transgender, l’immigrato) – idea, peraltro, che suggella lo script di Conclave (dentro un corpo-soglia, tra terra e cielo, come quello di un Papa) - come avvio di un mondo rifondato, ma nel gesto che lo attesta: come dire, il cinema che ha perso il punto di appoggio della realtà a cui era fenomenologicamente legato, dichiara di volersi rifondare motu proprio. Ovvero disarticolando da un lato il complesso lavoro di negoziazione col mondo attraverso un disinvolto gioco combinatorio delle sue grammatiche di genere ( Emilia Perez vuol essere da questo punto di vista un film modello, raccontando una transizione sessuale dentro un film che trasmuta da un genere all’altro, dal film di narcos al melò al musical); dall’altro, mimetizzandosi nelle retoriche del realismo, dichiarando apertamente però l’illusione: The Brutalist di Brady Corbet è in questo radicale, perché il suo racconto mutante (un film sull’Olocausto che diventa un film sull’immigrazione che si rivela parabola sull’America e la sua cattiva coscienza) è un falso storico costruito ad arte, il biopic di un uomo mai esistito, con l’uso di codici espressivi atti a restituire l’autentica impressione di un’epoca. Salvo poi esplicitare il trucco con la trovata dell’intervallo tra primo e secondo tempo inserita nella diegesi del film.

Alessandro Nivola e Adrien Brody in una scena di The Brutalist: il film ha vinto il Leone d’Argento per la migliore regia a Venezia 81

In questa torsione produttiva (da istanza riproduttiva) del cinema, sancita guarda caso da un imperioso ritorno del musical – il più ibrido, aperto e fantasioso tra i codici - sia come genere che come registro interno, il problema dell’autenticazione delle immagini rimane un paradosso da risolvere. Al reale originario che si offre alla ripresa perché questa lo accolga dandogli forma, estetica ed etica secondo la vulgata baziniana, il cinema del primo quarto di secolo del nuovo millennio cerca la propria autenticazione altrove, in uno scivoloso, “fluido”, rapporto di segnalazione con i discorsi sul reale, precipuamente con le sue retoriche e le sue narrazioni politiche. Delegando al testimone interno il compito di esplicitare questo legame e autenticare il discorso del film (come nel caso di Karla Sofía Gascón, attrice/personaggio transgender, di Emilia Perez; o di Demi Moore, attrice/personaggio dimenticata e segnata dagli anni in The Substance). Un gioco di rimandi che finisce per far sembrare questi film dei documentari (o mockumentary) sui loro interpreti, che può diventare ancora più sofisticato laddove gioca con la memoria non della storia ma del cinema (Adrien Brody, realmente di origini ungheresi, è sopravvissuto effettivamente due volte ai campi di concentramento, ma solo nella finzione: la prima ne Il pianista).

Ralph Fiennes stars as Cardinal Lawrence in director Edward Berger's CONCLAVE, a Focus Features release. Credit: Courtesy of Focus Features. © 2024 All Rights Reserved.
Ralph Fiennes stars as Cardinal Lawrence in director Edward Berger's CONCLAVE, a Focus Features release. Credit: Courtesy of Focus Features. © 2024 All Rights Reserved.
Ralph Fiennes stars as Cardinal Lawrence in director Edward Berger's CONCLAVE, a Focus Features release. Credit: Courtesy of Focus Features. © 2024 All Rights Reserved. (Courtesy of Focus Features. © 2)

Il problema è che un assetto di questo tipo rischia non solo di alimentare il circuito della post-verità che tende a svuotare la cultura occidentale e le sue narrazioni, ma di alimentare equivoci storici – giustamente la comunità messicana si è sentita tradita dalla rappresentazione che ne dà Emilia Perez – e di subordinare ogni questione etica della rappresentazione all’autodisciplina dell’autore, con tutti gli scivoloni che ne conseguono (lo stesso Brady Corbet non ne è ne sente in The Brutalist).

E se il campo dei discorsi di ringraziamento è stato da sempre uno dei piatti forti di queste premiazioni, con le sue regole e i suoi generi codificati, è indubbio come da qualche anno siano diventati un’estensione 2.0 del dominio semantico film (con tanto di circolazione virale), una ratifica dei suoi presupposti morali e dei fondamenti di senso. Il che sposta, al di là della cornice sempre viziata dal marketing, la questione dell’autenticazione dal linguaggio ai discorsi sociali.
Non è uno spostamento da poco.