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Gabriele Lavia ed Edwige Fenech in La quattordicesima domenica del tempo ordinario
Per il suo quarantatreesimo lungometraggio, Pupi Avati ha scelto un titolo importante. E lo sa: “Ho la sensazione di avere a che fare con pubblico laicizzato, quindi mi tocca spiegarlo”. Che cos’è, allora, La quattordicesima domenica del tempo ordinario (dal 4 maggio in sala)? “È quel periodo dell’anno liturgico in cui non ci sono tempi forti, comprende primavera ed estate. Ci si sposa: io mi sposai il 24 giugno 1964, che è proprio quella che cito nel titolo. È stato il giorno più felice della mia vita, dopo quattro anni di rincorsa dantesca ho conquistato quella che per me era la ragazza più bella di Bologna. Il nostro incontro ha prodotto gioie e dolori rammarico e felicità. Da ciò si desume che parlo molto di me. E in modo tutt’altro che pudico”.
Quanta autobiografia c’è nella vicenda di Marzio, musicista spiantato segnato a vita dal grande amore per Sandra e dall’amicizia con Samuele? “Ci sono molte cose che hanno a che fare con la mia vita, ma non c’è autocompiacimento. Ho 84 anni, so di aver già percorso il grosso della vita, alla nostra età si diventa incontinenti: questo è il mio film più sincero. Sono eclettico, mi manca solo il western, ma mancavano anche queste confidenze. Ormai sono così disinvolto con il mezzo che finisco per confondere vita e cinema: quando parlo con mia moglie mi chiedo come inquadrarla”.
La quattordicesima domenica del tempo ordinario si divide tra la Bologna degli anni Settanta, in cui Marzio sposa finalmente Sandra e forma con Samuele il duo musicale dei Leggenda, e quella di trentacinque anni dopo, con i rapporti tra i personaggi cambiati in modo ormai irreparabile. “Racconto la storia di un fallimento – spiega Avati – perché, in fondo, tutti noi siamo falliti: il nostro destino non è quello che sognavamo. Se non lo ammetti, non sei corretto. Il film parte a Bologna, da un chiosco di gelati su via Saragozza all’angolo di via Audinot che frequentavo da bambino: oggi non c’è più, ma mi illudo di potermi sedere ancora lì”.
La grande curiosità del nuovo film del regista è rappresentata sicuramente dalla sorprendente rentrée di Edwige Fenech, che non recitava da sette anni: interpreta Sandra, “la ragazza più bella di Bologna” che è diventata una dimessa signora con qualche conto in sospeso con il passato. “Avevo chiuso – spiega l’attrice – ma una proposta come quella di Pupi non la ricevevo da anni. È stato come un miracolo, pensavo fosse un sogno. Adoro i miei film del passato ma questo lo aspettavo da tanto. Una gioia incontenibile”.
Perché Edwige Fenech? “Perché è stata la donna più bella del suo tempo e mi piaceva che fosse lei la protagonista di una storia ambientata negli anni Settanta e Ottanta. Poteva sembrare una provocazione, ma sono io ad aver dilatato i confini del fare casting in Italia. È lo stesso metodo che ho usato proponendo Renato Pozzetto per Lei mi parla ancora. Nel nostro cinema si gioca sempre con la stessa rosa, che è molto ristretta. Non si può fare la fila alla porta di Favino, che se lo merita ma non può fare tutto lui. Ci sono tantissimi attori che vogliono lavorare con me: cercano un risarcimento, hanno voglia di dimostrare qualcosa”.
Protagonista maschile è Gabriele Lavia, che interpreta Marzio da anziano, di nuovo con Avati a quarant’anni dal cult Zeder e per la prima volta con Fenech: “Quello del set non è un tempo ordinario ma straordinario: poterlo condividere con lei è stato meraviglioso. Tra di noi c’è un grande affetto, un sentimento che non so immaginare in altri ambiti della vita”.
La versione giovanile di Lavia è incarnata da Lodo Guenzi: “Se i poeti sono coloro che scrivono qualcosa di molto personale che però tu, lettore, sei convinto ti appartenga, allora Pupi è un poeta. Marzio è un fallito meno fallito di me: so che la distanza tra i sogni e ciò che ottieni è incolmabile, ma lui crede ancora che una canzone possa cambiarti la vita”.
Lavia e Guenzi non hanno condiviso molto sul personaggio che interpretano in due stagioni della vita, ma la resa sullo schermo è molto credibile: “C’è stata una libera associazione – spiega Guenzi – che ha provocato qualcosa di magico. Merito di Pupi, che non ti lascia solo e ti tiene agganciato alla verità delle parole”.
Stesso metodo per Camilla Ciraolo, che è Sandra da giovane (“Non ho incontrato Edwige, ma si è creata un legame tra noi due e Sandra: è come se tutte e tre da piccole avessimo fatto danza classica”), e per Massimo Lopez e Nick Russo, ovvero Samuele da adulto e da giovane. “In genere sono molto prudente – rivela Lopez, che non appariva in un film dal 1984 – ma in questo caso mi sono lanciato: desideravo profondamente di lavorare con Pupi, come molti comici volevo sperimentare il drammatico”.
Ma dietro i casting di Pupi c’è anche suo fratello Antonio, produttore: “Mi vanto di aver pensato agli sdoganamenti più riusciti, ma ormai la mia mente è piena di altre problematiche, anche finanziarie. Mi è molto dispiaciuto non avere avuto l’idea geniale della Fenech, con Lavia sapevamo che prima o poi saremmo tornati insieme, Lodo l'ho scoperto grazie al film Est, Camilla è un’allieva di Pupi”.
Ruolo centrale per la musica, composta da Lorenzo Pegoretti e Sergio Cammariere, che ha scritto con Avati la title track: “Anni fa avevo dichiarato di voler lavorare con lui, il nostro rapporto è iniziato da lì. La canzone doveva essere struggente ed evocativa, Pupi ha scritto endecasillabi di grande ispirazione. È sicuramente la mia colonna sonora più importante”.
Si punta a una distribuzione su almeno 300 schermi (“Ci sono segnali di ripresa, paghiamo ancora il prezzo dei mesi di chiusura” sottolinea Massimiliano Orfei di Vision Distribution), si spera nel ritorno in sala del pubblico come accaduto col teatro (“Ma al di là del valore dei film – riflette Lavia, mostro sacro del palco – il cinema è una techne destinata a essere superata da un’altra techne, mentre il teatro è un fatto vivo”) e, chissà, per Fenech si riapre una carriera. Lei, olimpica, non nasconde l’entusiasmo per questa nuova avventura: “La mia amica Michelle Yeoh ha appena vinto un Oscar, a me piace sognarlo davanti allo specchio. Ma sono aperta a tutti i premi!”.