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Piera Detassis (foto di Stefano Micozzi)
Piera Detassis, presidente dell’Accademia del Cinema Italiano e direttrice artistica dei David di Donatello, è stata l’ospite d’eccezione nella cerimonia d’inaugurazione della quarta edizione del Lecco Film Fest, il festival organizzato da Fondazione Ente dello Spettacolo e promosso da Confindustria Lecco e Sondrio. Una presenza che testimonia e rafforza il legame tra la presidente dell’Accademia e l’Ente dello Spettacolo. Ridestare lo stupore, titolo della nuova edizione, muove dalle riflessioni che Papa Francesco ha consegnato alla Fondazione Ente dello Spettacolo in occasione dell’udienza privata svoltasi lo scorso febbraio per celebrarne il 75° anniversario.
“Quando parliamo del Lecco Film Fest – riflette Detassis, che ha dialogato sul palco con la curatrice del festival, Angela D’Arrigo – sappiamo di cosa parliamo. Non è stato costruito solo per attrarre turisti o emulare altre realtà: è un festival che ha messo radici, fondato su un pensiero, su una riflessione, su un’idea. È importante rivendicare l’indipendenza, la serietà del programma, la riflessione su cosa sarà il cinema del futuro, il desiderio di far incontrare i protagonisti dello spettacolo e il pubblico per creare una comunità. Non sono valori che si costruiscono in poco tempo e certamente legati all’autorevolezza dell’Ente dello Spettacolo, a cui sono fortemente legata”.
Il tema dello stupore permette a Detassis di tornare alle origini della sua passione per il cinema: “All’esame di maturità, scrissi un tema su Non tutti ce l'hanno di Richard Lester: rimasi profondamente stupita da come la trasformazione del linguaggio cinematografico corrispondesse a una rivoluzione nella vita quotidiana. Uno shock reale che ho sperimentato anche con I pugni in tasca di Marco Bellocchio. L’idea del linguaggio che diventa tutt’uno con l’anima, lo spirito, l’intelligenza. Abbiamo grandi maestri, come Bellocchio (ospite del Lecco Film Fest sabato 8 luglio, ndr) che a 83 anni è ancora giovanissimo perché cambia continuamente: credo che rinnovarsi e cambiare pelle sia fondamentale. E credo che ci sia bisogno di storie che raccontano il tempo in cui viviamo e questo paese. Per esempio, le commedie italiane che un tempo erano fantastiche perché lavoravano intelligentemente sugli stereotipi non sono più uno specchio dell’Italia. Dobbiamo coltivare lo stupore per scoprire mondi nuovi”.
Sulle polemiche legate a un eccesso di produzione negli ultimi anni: “È un tema delicato e non dobbiamo demonizzare: è stata la reazione a un tempo maledetto, quello del Covid, in cui le piattaforme sono state importanti perché hanno creato lavoro. Ma, al di là delle facilitazioni fiscali e del tax credit, penso si debba recuperare una sorta di igiene della produzione per evitare l’implosione del sistema. Forse il cinema in sala non tornerà più come una volta, ma a mio avviso il film senza sala non esiste davvero, non suscita stupore, non crea permanenza nell’immaginario, non crea risonanza sociale, non crea dibattito nella collettività”.
I David sono sempre più attenti alle nuove generazioni, ma il lavoro è ancora lungo: “Manca un sistema di comunicazione che raggiunga davvero i ragazzi, dobbiamo imparare a ragionare nei loro termini comunicativi e a dare voce alle loro storie. E manca un’educazione all’immagine: con l’Accademia sosteniamo Uniti per la scuola, dobbiamo cambiare il metodo di avvicinamento al cinema che non può più essere la visione di un film per coprire una materia scolastica. Viviamo di immagini, non è possibile che non ci sia un’educazione all’interpretazione del loro linguaggio”.
E sui David assegnati quest’anno: “Hanno contenuto un dato di stupore. Sono felice dei risultati perché sono state premiate la qualità e la diversità di rappresentazione: una cinquina importante, due sorprese come Le otto montagne e La stranezza, Esterno notte che nasce come serie ma per me è una grande innovazione cinematografica. Film che hanno incontrato il pubblico, interpreti straordinari, due registe che hanno vinto tra le opere prime, Giulia Steigerwalt per Settembre, e i documentari, Sophie Chiarello per Il cerchio”.
Ma l’Accademia non è solo la serata dei premi: “Abbiamo promosso Becoming maestre, un lavoro di promozione e mentoring per avvicinare e formare le giovani donne nei mestieri dietro la macchina da presa, spesso sottorappresentati sul piano del genere”. E sul cinema italiano in generale la presidente ha le idee chiare: “Deve ridestare lo stupore e la curiosità prima di tutto verso se stesso: bisogna investire sui film che ti diano il desiderio di uscire di casa. Per ritrovare la sala c’è bisogno di unicità: il cinema italiano deve imparare a selezionarsi e a puntare in alto. Se non si impara a ridestare lo stupore, si resta a casa”.