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Julia Roberts in Pretty Woman
Non dimenticherò mai la prima volta che ho visto Pretty Woman, con mia madre e la mia migliore amica. Ero l’unica delle tre a essere estasiata: loro due uscivano dal cinema perplesse, c’è da dire che eravamo piccole, molto piccole, tutte e tre: madre poco più che trentenne e io e la mia amica avevamo da poco passato i dieci anni. Tre bambine, ma anche tre ragazze con gusti formati, precisi, abituate a dibattere all’uscita da ogni film e anche a scontrarci se necessario, a incuriosirci l’una con l’altra. Non dimenticherò mai quella volta come tutti i pomeriggi in sala insieme, con le mamme, a volte una a volte l’altra, a volte tutte e due, a volte c’era uno dei papà (mai il mio, impegnato a seguire fuori città i fili della sua vita contorta).
Ma non dimenticherò mai quella volta in particolare perché la spaccatura non era mai stata così eclatante, così irrimediabile: loro non si capacitavano del mio entusiasmo, io non mi facevo una ragione della loro freddezza. Per me, che non ero romantica e non avevo nessuna idea in particolare dell’amore, era soprattutto la storia di una ragazza autentica, che si tirava fuori dall’angolo in cui la vita l’aveva messa e che non aveva avuto paura di trasformarsi, una che non aveva approfittato delle occasioni per sfruttarle, una che non si era sposata per finta, una il cui futuro, anche in coppia, immaginavo inconsueto e luminoso, poco scontato.
Come avrebbe portato il suo passato in giro in quel mondo di ricchi, che aveva sbugiardato come nella scena in cui tornava dalle commesse che l’avevano respinta per com’era vestita? Con quanta sicurezza crescente avrebbe risposto agli uomini che si sarebbero sempre sentiti autorizzati a violarla? Da lei non passava nulla, anche se non era un’eroina, ma soprattutto non sarebbe finita l’amicizia – forse la cosa che mi aveva più colpito del film, quell’amicizia tra ragazze che continuava nonostante lo squilibrio di potere.
Julia Roberts era magra e con le gambe lunghe, aveva poco seno, ribadiva canoni in cui potevo ritrovarmi anch’io. Mi sembrava vicinissima, Richard Gere invece vecchio, ma buono (oggi se ci penso sorrido). Infine: Pretty Woman è una delle molte incarnazioni di Cenerentola, anzi per rubare una delle battute più citate del film, di “quella gran culo di Cenerentola”. Lo è in pieno stile anni Novanta, con quell’estetica e anche quell’etica. È un film divertente e commovente anche alla milionesima visione, anche adesso che è di repertorio e anni luce lontano dalle ragazze di oggi – ma così vicino, insopportabilmente vicino, a quelle di ieri.