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GONE WITH THE WIND, Clark Gable, Vivien Leigh, 1939
Tutto in Rossella O’Hara è mitico, come è giusto che sia nel caso la personaggia più famosa del mondo, ogni sua battuta è iconica, ogni dettaglio del suo abbigliamento è stato stra-citato, ogni aspetto del suo carattere sviscerato, amatissimo, odiatissimo. Cosa si potrà aggiungere su di lei che non sia già stato detto, ma soprattutto che non abbiamo già provato dentro di noi in una delle mille volte in cui siamo sprofondati in Via col vento?
In una intervista di molti anni fa, Asia Argento raccontò che i genitori festeggiarono la sua nascita con una proiezione reiterata del colossal sulle mura di casa. Mi sembrò tutto perfetto: un regista e un’attrice avevano invitato Via col vento per un vero e proprio battesimo, come fosse una balia, una fata madrina. Ecco, è uno di quei film intorno ai quali è impossibile non addensare aneddoti personali, compresi quelli in cui puntualmente qualcuno dice: eh, ma io Rossella la odio. Ci sono eroine per le quali proviamo un misto di repulsione e attrazione, e le ricordiamo tutte perché sono poche – bisogna che siano quelli davvero bravi a scriverle, è difficile far appassionare il pubblico a un protagonista insopportabile, ancora di più se è donna.
Eccone alcune: Medea, Emma Bovary, Emma di Jane Austen e naturalmente Rossella, che è in ugual misura di Margaret Mitchell che l’ha scritta e di Vivien Leigh che ha fatto più che interpretarla, l’ha incarnata, l’ha resa reale, viva, eternamente fra noi. Rossella è maestra di sopravvivenza a chiunque e soprattutto ai suoi capricci, Rossella sotto quei suoi stessi capricci per poco non muore – ma l’accento è tutto lì, “per poco”, perché si rialza sempre, per Rossella c’è e ci sarà sempre ancora domani.
Pensiamo di odiarla ma non è vero, è Melania che non sopportiamo: Via col vento riesce nel miracolo di farci odiare i buoni, mentre mostra a tutto il mondo che cos’è una passivo aggressiva – Rossella non è solo il suo contrario, è molto di più, un’anima enorme di quelle di fronte cui la morale si arrende e la nostra meraviglia, di fronte alla sua stessa esistenza, è talmente grande che per darle un nome dobbiamo chiamarla antipatia.
In realtà lo sappiamo bene, che da lei abbiamo imparato tutto: a mangiare le zolle quando ci buttano per terra, ad amare ostinatamente fino a perdere la faccia, a farci un vestito con una tenda per assomigliare sempre alla nostra versione di noi, e non a quella che gli altri stanno proiettando, e sempre proietteranno – peggio per loro.