Di Elena Greco, che con Ferrante condivide il nome di battesimo, sappiamo molto ma innanzitutto sappiamo chi è. Lo sappiamo prima che sia l’amica di Raffaella Cerullo, prima di Lila e Lenù, prima della prima scena: esiste già nella scelta narrativa che le affida la voce del romanzo, sono sue le parole di tutta la tetralogia, suo il punto di vista, sua la prospettiva. È da lei che sappiamo di Lila, della loro amicizia, della vita a Napoli in un dopoguerra che si apre con fatica al benessere, sappiamo della violenza dei maschi, del loro disprezzo per le donne, sappiamo come si vive al margine, nel rione e fuori, e apprendiamo per la prima volta cos’è la smarginatura, la parola più sottolineata e analizzata di tutta la trilogia.

Molto è stato detto e scritto su Lila, la donna oscura – oscura come figlia, per riprendere il sintagma di un altro titolo ferrantiano, oscura come amica, come moglie, come madre, e molto, ma forse non abbastanza è stato detto di Lenù, senza mai sciogliere la domanda che tiene in piedi la storia: chi delle due è l’amica geniale? Di certo la forza nera di Lila ricorda Lilith, la prima donna, talmente indomabile da essere considerata troppo pericolosa, poi sostituita con Eva, più solare, più rassicurante, ma non meno femminile, portatrice di un diverso ma altrettanto intenso potere: quello della parola.

Considerato l’anonimato dal quale Elena Ferrante non è mai voluta uscire, Lenù è a tutti gli effetti la scrittrice italiana più conosciuta nel mondo: il suo io narrante si è sovrapposto a quello dell’autrice, tanto che gli americani hanno definito la tetralogia un’opera di autofiction. Elisa Del Genio, Margherita Mazzucco, Alba Rohrwacher l’hanno finora incarnata nelle varie età della sua vita, spostando l’accento sull’essere più o meno eterea, più o meno passiva, ma solo a un occhio ingenuo può sembrarlo: Elena è viva come la letteratura, che rappresenta.

È viva perché racconta, perché è sopravvissuta al rione, alle guerre familiari, al maschilismo velato ed esplicito, ed è sopravvissuta al destino che l’ha messa da subito, e per sempre, accanto a Lila. È sopravvissuta anche a lei, a uno dei personaggi più brutali e incendiari della letteratura. Ha carattere, e non ha bisogno di urlare per mostrarlo, quando incassa sta solo prendendo fiato. Lila è la Jo March degli anni Duemila, è a lei che pensiamo quando ci ricordiamo com’eravamo da piccole, quando volevamo tutte essere scrittrici.