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Stefania Sandrelli e Barbara Bobulova in Per il mio bene, foto di Francesca Fago
Si dice che per cogliere davvero l'identità più intima e reale di una persona, per poter comporre quel mosaico policromo composto dai tasselli che ne rappresentano l'esistenza, sia necessario capire da dove proviene e quali esperienze, coincidenze e legami l'abbiano resa quello che è o è stata. Vari ed eterogenei sono gli accadimenti che, in negativo o in positivo, determinano il come, il quando e il perché si è così, talvolta manchevoli o semplicemente umani. Tra i primi a condizionare, ci sono le figure genitoriali che educano i bambini, rendendoli spesso (volutamente o meno) a propria immagine e somiglianza.
Di questo convincimento è fermamente persuasa Giovanna (Bobulova), certa di assomigliare al padre imprenditore dal quale eredita la redditizia azienda di famiglia, gestita insieme alla signorile mamma Lilia (Sandrelli). Giovanna è intraprendente e capace, avvolta da una consapevole asprezza dettata dal molteplice ruolo di manager di successo, figlia "d'arte" e madre single di una ragazza adolescente (Ciocca) sulla quale riversare tutta l'autorità protettiva del genitore sicuro di sapere cosa il figlio debba fare per il proprio bene. Non mostra mai la minima debolezza o bisogno di assistenza pensando con assoluta fermezza di farcela da sola, fino a quando lo spettro di una grave malattia la porrà di fronte un'inaspettata verità. La madre, alla quale si rivolge senza indietreggiamento, non può però adempiere all'impegno per strutturale impossibilità, ovvero per la non biologica maternità: Giovanna è stata adottata. Adirata e scioccata dal torto subito, è determinata a scoprire chi è colei che l'ha abbandonata. Scontrandosi con la legge che impedisce alla prole non riconosciuta di sapere chi è la donna che li ha messi al mondo prima dei cento anni e urtandosi nuovamente con il rigetto della signora alla richiesta d'aiuto compiuta da interposta persona, rimane comunque dell'idea di conoscerla. Riuscendo ad eludere le regole, rintraccia Anna (Barrault), l'anziana genitrice scontrosa ed ostile, intenzionata a stabilire un contatto. Faticosamente, le donne iniziano ad accettarsi e ad apportare significativi cambiamenti l'una a all'altra, sino al momento del confronto dove tutto verrà ricalibrato ed esposto finalmente alla luce.
Opera prima di finzione di Mimmo Verdesca (sceneggiata insieme a Monica Zapelli e Pierpalo De Mejo), Per il mio bene è un lavoro stratificato. Questo film è sull'essere madri, sulla funzione materna che non va a riconoscersi unicamente nel significato generativo, bensì in quello simbolico; non un decalogo sul come sarebbe stato meglio comportarsi, piuttosto un attestato di genuina imperfezione di due diverse maternità macchiate dall'opprimente senso di colpa come conseguenza di scelte. È anche sull'essere figlie accettandone le debolezze e contemporaneamente conformandosi come individuo e non come prolungamento di sé. Sul rifiuto, ricevuto e concesso, sull'aspettativa di comprendersi ritracciando le radici ed intuire di essere frutto di qualcosa che riteniamo sconosciuto o solo interiormente nascosto. Ciononostante, le linee tematiche che vanno a tratteggiarsi divengono universali e non più specifiche, asserendosi come disanima sulle relazioni umane. Il tutto contornato dallo stile asciutto, essenziale e mai completamente afflitto come il contenuto presupporrebbe. Seppure alcuni (pochi) stralci fatichino a carburare, rimanendo fin troppo statici e "pagando" il passato documentarista dell'autore, il riguardo con cui non esaspera le sequenze è riguardevole. Magnetiche la maturità e la duttilità emotiva di grandi attrici, ognuna perfettamente nella parte e prodiga nel contribuire a tratteggiare uno scorcio di femminile coscienza.