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Parthenope di Paolo Sorrentino - Celeste Dalla Porta e Stefania Sandrelli / Photo by GIanni Fiorito
Il nuovo film di Paolo Sorrentino, Parthenope, in Concorso. A Un Certain Regard The Damned di Roberto Minervini. Italiana anche la produzione di Limonov di Kirill Serebrennikov, la co-produzione di Marcello mio di Christophe Honoré, la co-produzione di Grand Tour di Miguel Gomes, tutti e tre in competizione, e la co-produzione di The Falling Sky di Eryk Rocha e Gabriela Carneiro in cartellone alla Quinzaine des Cinéastes.


L’anno scorso fu tricolore, Bellocchio-Moretti-Rohrwacher, di registi per la Palma (non la toccarono, e nemmeno un premietto) quest’anno assai meglio i produttori: magra consolazione o stato dell’arte, laddove chi monta il film si fa apprezzare Oltralpe più degli autori?
È la politica dei produttori, e dunque Lorenzo Mieli per Sorrentino, Mario Gianani a bissare la premiata e premiante esperienza de Le otto montagne – anche lì regia straniera, Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, e derivazione letteraria, il bestseller di Paolo Cognetti – con l’adattamento da Emmanuel Carrère di Serebrennikov. Poi, Angelo Barbagallo e Andrea Occhipinti per il Mastroianni possibile, con la figlia Chiara e Catherine Deneuve, di Honoré, Marta Donzelli e Gregorio Paonessa per Gomes, Donatella Palermo per il popolo Yanomami alla Quinzaine.
Bravi tutti, e forse, e dunque meno i nostri registi? Vivaddio, la nazionalità poco dirime, regia straniera e produzione nazionale si tengono per mano, e perché dovremmo farcene un problema, perché dovremmo eccepire sulla identità – il rodimento dei sovranisti è contemplato, pazienza – e chiedere, anzi, richiederci una cinematografica purezza di sangue che come altrove è senza senso?


Vedi Napoli e poi vivi, il decimo lungometraggio di Paolo – non portava un film sulla Croisette da Youth del 2015, e nove anni son lunghi - annovera Isabella Ferrari, Gary Oldman, Silvio Orlando, Luisa Ranieri e Stefania Sandrelli per raccontare “il lungo viaggio della vita di Parthenope, dal 1950, quando nasce, fino a oggi. Un’epica del femminile senza eroismi, ma abitata dalla passione inesorabile per la libertà, per Napoli e gli imprevedibili volti dell’amore”.
Girato tra il capoluogo campano e Capri, contempla faraglioni e discese ardite, dépense e detour, spleen e affrancamento, il sentimento autobiografico di È stata la mano di Dio e l’incantamento immaginifico de La grande bellezza, e scusate se è poco. Sirena, so sang Parthenope, declina Jep Gambardella e coniuga Fabietto Schisa, perfeziona Sorrentino e s’adatta mitologica: chi Ligea, chi Leucosia, e chi Orfeo?
Paolo si produce con la novella Numero 10 – indovinate chi? – e trova l’endorsement produttivo, e la direzione artistica dei costumi, di Anthony Vaccarello per Saint Laurent (co-produce anche Cronenberg e Audiard in lizza per la Palma): l’abito farà il munaciello, Napoli si riprenderà la scena e l’osceno, e quanto Sorrentino si farà Sorrentino, quanto la sua bravura barcollerà nell’abilità? E – chissà chi ce lo porterà in sala il prossimo autunno, forse la triplice ex Vision Distribution Orfei-Novelli-Rossi? – quanto nell’evoluzione del femminile, e dell’eterno femminino, saprà farsi prossimo alla sua cifra esistenziale migliore, quella mescolata e non shakerata di pigrizia del passato e nostalgia del futuro?


I dannati
Minervini nel passato si tuffa, e senza rete. Dopo i documentari di creazione, il suo primo film di finzione, un film storico, con le focali corte, sì, ma anche il teleobiettivo per rimandare all’oggi. 1862, la guerra di Secessione all’apogeo, l'inverno che fiocca, una compagnia di volontari che va a ovest, per perlustrare e presidiare le terre inesplorate, l’eterna frontiera. Che fare quando il mondo è in fiamme?, titolo del 2018, rimane pertinente, e nelle acque lustrali della finzione Minervini trova – almeno, suggerisce – concorso: doc o meno, la realtà è incipiente, la verità dirimente, la dannazione, ovvero la contraddizione tra la volontà e il destino, memore.


Jasmine Trinca e Tecla Insolia in L'arte della gioia - Foto A. Gabellone © 2023 Sky Italia
Sulla Croisette, infine, si paleserà L’arte della gioia, complice l’affezione di Valeria Golino per il festival francese, dove ha portato a Un Certain Regard l’opera prima Miele nel 2013 e la seconda Euforia nel 2018. Uscita in sala fissata per, prima parte, il 30 maggio e, seconda, il 13 giugno, il debutto assoluto per Golino da regista di una serie tv arriverà prossimamente in esclusiva su Sky e in streaming su NOW: dal romanzo cult e postumo (Einaudi) di Goliarda Sapienza, rifiutato per tanto tempo dalle case editrici italiane e catalizzato dal successo all’estero, l’affrancamento desiderante e spregiudicato di Modesta (Tecla Insolia), solo di nome, nella Sicilia di inizio Novecento annovera Jasmine Trinca, Guido Caprino e Valeria Bruni Tedeschi.
Scritta da Valeria con Luca Infascelli, Francesca Marciano, Valia Santella e Stefano Sardo, l’incessante movimento di emancipazione di Modesta si accompagna a un percorso di maturazione personale e sessuale, che la porta a scoprire e rivendicare il diritto al piacere e alla felicità.
Tutto il resto è gioia, tutto il resto – passata ‘a nuttata, passata Cannes – è Venezia: considerando che a fronte di tre italiani a Cannes l’anno scorso la Mostra ne piazzò sei in Concorso, l’ottantunesima edizione ne contemplerà otto per il Leone d’Oro?