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Durante i primi dieci anni del suo pontificato - il 13 marzo del 2013 Jorge Maria Bergoglio saliva al soglio di Pietro – il Papa “venuto dalla fine del mondo” ha dichiarato più volte il suo amore per il cinema: dalle pietre miliari del cinema italiano come Roma città aperta di Rossellini o La strada di Fellini (il più amato per “l’implicito riferimento a san Francesco”) alle partecipazioni dirette del pontefice argentino in opere cinematografiche, in particolare nei due documentari a lui dedicati come Papa Francesco – Un uomo di parola di Wim Wenders (2018) e In viaggio di Gianfranco Rosi (2022).
Non sono mancati poi in questi anni gli incontri riservati ai protagonisti della settima arte. È il caso delle udienze concesse ad Angelina Jolie (8 gennaio 2015), Roberto Benigni (11 gennaio 2016) e Martin Scorsese (30 novembre 2016). Una vera e propria passione per il cinema quella di Papa Francesco, come egli stesso ha voluto ribadire in occasione dell’udienza speciale concessa per il 75° dell’Ente dello Spettacolo il 20 febbraio scorso.
Un appuntamento storico non solo per la Fondazione e per i protagonisti del mondo del cinema lì convenuti, ma anche per la storia del magistero della Chiesa nei confronti della settima arte, segnata d’ora in avanti dai due importanti discorsi – uno “a braccio” e uno scritto - che papa Francesco ha consegnato ai membri dell’Ente dello Spettacolo e a quanti lavorano a vario titolo nel mondo del cinema. Li riportiamo qui di seguito integralmente.
Discorso a braccio del Santo Padre
Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti! Ringrazio per le sue parole il Presidente, Don Davide Milani – grazie per quello che ha detto –, e saluto tutti voi, con cui sono lieto di festeggiare il 75° della Fondazione Ente dello Spettacolo. Delle cose che ho scritto qui, tante le ha dette lui, e credo che sia meglio consegnare a lui il testo perché lui lo faccia conoscere.
Mi piace il lavoro che fate, il lavoro del cinema, il lavoro dell’arte, il lavoro della bellezza come grande espressione di Dio, che è sempre stata lasciata da parte, o almeno nell’angolo. I libri di teologia parlano tanto del verum, della verità; parlano del bonum; del bello, della bellezza, non tanto: il bello è come l’“ancilla”. Sembrava che non c’entrasse, nella riflessione teologico-pastorale, riflettere sulla bellezza. Quella bellezza che ci salverà, come ha detto qualcuno; quella bellezza che è l’armonia, opera dello Spirito Santo.
Quando noi vediamo – e vado su questo – l’opera dello Spirito, che è fare l’armonia nelle differenze, non annientare le differenze, non uniformare le differenze, ma armonizzare, allora capiamo cosa sia la bellezza. La bellezza è quell’opera dello Spirito Santo che fa di tutto l’armonia: dei contrari, degli opposti, di tutto… Pensiamo – a me dice tanto, questo – alla mattina di Pentecoste, quando si crea tutto quel problema, tutti parlano, nessuno capisce che succede, un disordine grande… È lo Spirito a fare un’armonia di tutto questo: tutto è differente, tutto sembra contraddittorio, ma l’armonia è superiore a tutto. E il vostro lavoro va sulla strada dell’armonia.
E poi, se vogliamo qualificare le grandi opere del cinema, possiamo dire che un buon motivo sono gli attori, sì, ma soltanto le opere che sono riuscite a esprimere l’armonia, sia nella gioia, sia nel dolore, l’armonia umana, sono quelle che passano alla storia. Per questo ringrazio per il vostro lavoro. È un lavoro evangelico. Anche un lavoro poetico, perché il cinema è poesia: dare vita è poetica. E ringrazio tanto per il vostro cammino: andate avanti, andate avanti, dietro ai grandi. Voi, come italiani, avete una storia gloriosa su questo, una storia gloriosa. Continuate avanti. Grazie.
Discorso del Santo Padre consegnato
Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!
Ringrazio per le sue parole il Presidente, Don Davide Milani, e saluto tutti voi, con cui sono lieto di festeggiare i 75 anni della Fondazione Ente dello Spettacolo.
In Italia il mondo cattolico ha dato vita a una molteplicità di esperienze legate alla comunicazione sociale e in particolare al cinema. L’Azione Cattolica, a partire dai primi decenni del secolo scorso, istituì centri di impegno in ambito radiofonico, teatrale, cinematografico e successivamente televisivo. Erano anni nei quali anche il magistero dei Pontefici affrontava in maniera puntuale l’impatto della nuova arte del cinema sulle persone e sulla società. Proprio un Papa milanese, Pio XI, indicò la necessità di istituire «un ufficio permanente nazionale di revisione, con lo scopo di promuovere i film buoni, classificare tutti gli altri e farne giungere i giudizi ai sacerdoti ed ai fedeli» (Vigilanti Cura, 1936), ufficio che oggi è la Commissione nazionale valutazione film della Conferenza Episcopale Italiana. L’impegno delle parrocchie e degli oratori ha dato vita alle Sale della Comunità, che ho incontrato nel dicembre 2019, in occasione del loro 70°. Penso, poi, alla grande stagione dei cineforum – ricordo anche quelli dei gesuiti – e, oggi, ai centri di ricerca nelle università.
In questo quadro così ricco di iniziative e di associazioni, si inserisce anche l’attività della vostra Fondazione. Pensando a voi, mi è venuta in mente la prima pagina della Bibbia, il racconto della creazione. Lo vediamo infatti scorrere quasi come un film, dove Dio appare autore e al tempo stesso spettatore. Egli inizia a comporre la sua opera allestendo ogni cosa: il cielo, la terra, gli astri, gli esseri viventi e infine l’uomo. È una storia di coinvolgimento, di bellezza e di passione: di amore. Ma al termine delle sue azioni creatrici, Dio compie un gesto sorprendente: diventa spettatore della sua opera, contempla quanto ha realizzato ed esprime il suo giudizio: «vide che era cosa buona» (Gen 1,12.18.24). Ma per l’uomo, fatto a sua immagine e somiglianza (cfr v. 26), la “recensione” è ancora più appassionata: «era cosa molto buona» (v. 31). In questa pagina sacra, cari amici, registi, attori, donne e uomini che lavorate nel cinema, possiamo trovare anche il senso del vostro lavoro culturale. Da una parte c’è l’azione creativa, dall’altra il contemplare e il valutare. Mi pare che possiate rispecchiarvi in questo meraviglioso affresco biblico, che ha affascinato tanti artisti e non finisce mai di stupire e di stimolare l’immaginazione e la riflessione.
Sarebbero tante le suggestioni che si potrebbero ricavare. Ne colgo una, quella dello stupore. Sembra che Dio stesso provi stupore, meraviglia davanti alla bellezza delle creature, specialmente quando contempla l’essere umano. Vorrei dirvi: ripartiamo da qui, dall’arte come stupore, prima di tutto per chi la fa, per l’artista. Penso a quel capolavoro che è l’Andrej Rublëv di Tarkovski: l’artista rimane muto a causa del trauma della guerra. Viene da pensare a ciò che sta accadendo anche oggi nel mondo. Rublëv non dipinge più, nemmeno parla più. Si aggira smarrito in cerca di un senso, finché assiste alla fusione di una campana. E al primo rintocco di quella grande campana il suo cuore si riapre, la sua lingua si scioglie, riprende a parlare e riprenderà a dipingere. E lo schermo si riempie dei colori delle sue icone. Il suono della campana, che esce dalla terra e dal bronzo, come per miracolo, riempie di stupore l’animo dell’artista e in un certo senso egli avverte in esso la voce di Dio, che gli sussurra: “Apriti”. Come aveva detto Gesù nel Vangelo: «Effatà» (Mc 7,34). Cari amici, il mondo, travagliato dalla guerra e da tanti mali, ha bisogno di segni, di opere che suscitino stupore, che lascino trasparire la meraviglia di Dio, il quale non smette mai di amare le sue creature e di stupirsi per la loro bellezza. In un mondo sempre più artificiale, dove l’uomo si è circondato delle opere delle proprie mani, il grande rischio è quello di perdere lo stupore. Condivido con voi questa riflessione e, affidandovi il compito di ridestare la meraviglia, vorrei ringraziarvi per quello che fate in un aspetto essenziale per l’evangelizzazione, perché non c’è fede senza stupore.
Grazie, dunque, cari amici, e buon lavoro! Chiedo allo Spirito Santo di accompagnarvi sempre con i suoi doni. Di cuore vi benedico e vi chiedo, per favore, di pregare per me.