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Anatomie d'une chute @ Les Films Pelléas - Les Films de Pierre
Come da tradizione, con la fine della Mostra del Cinema di Venezia si aprono i giochi per gli Oscar, la cui cerimonia è al momento posizionata al 10 marzo 2024. E diciamo “al momento” perché gli scioperi potrebbero far slittare tutto, non solo per quanto riguarda le uscite in sala (quanti film saranno posticipati, non essendo le star disponibili per la promozione?), ma anche sul piano della scrittura dello show (si può fare a meno degli sceneggiatori? Gli Emmy, previsti per settembre, sono finiti a gennaio). Una soluzione non sembra all’orizzonte, però la situazione sta diventando talmente insostenibile (gli scioperi costano all’economia almeno 17.000 posti di lavoro) che qualcosa dovrà necessariamente muoversi entro l’inizio del 2024. Detto ciò, cosa possiamo aspettarci dalla 96a edizione degli Oscar?
i fenomeni
I due fenomeni dell’estate, Barbie e Oppenheimer, avranno voce in capitolo: il primo, arrivato a un incasso globale vicino a un miliardo e mezzo, ha tre nomi forti in attesa di statuetta (la regista e sceneggiatrice Greta Gerwig, Margot Robbie come attrice e produttrice, Ryan Gosling tra gli attori non protagonisti) e farà man bassa di candidature tecniche; idem per il secondo, che realisticamente non si limiterà alle tecniche (è il frontrunner per fotografia, montaggio, sonoro) dato che c’è un autore (Christopher Nolan) tanto amato dal pubblico quanto ignorato dall’Academy e almeno due attori altrettanto popolari e mai premiati (Cillian Murphy e Robert Downey Jr). E difficile escludere dai giochi Killers of the Flower Moon, kolossal di Apple Tv+ (non dimentichiamo che è l’unica major streaming ad aver vinto l’Oscar più pesante con CODA), e di conseguenza Martin Scorsese, Leonardo DiCaprio, Lily Gladstone e Robert De Niro (questi ultimi i più quotati per nomination ed eventuale statuetta).
i frontrunner
Con un Leone d’Oro che ha messo d’accordo la maggioranza, Venezia ha lanciato uno dei candidati più forti, Povere creature!, che potrebbe consacrare Yorgos Lanthimos e assicurare a Emma Stone il secondo Oscar in carriera. Maestro, il titolo su cui punta Netflix, è uscito a mani vuote dal Lido, ha schivato una polemica pretestuosa (la protesi al naso di Bradley Cooper, tacciata di antisemitismo) ma segna la maturità di Cooper come regista e attore (nove nomination in dieci anni, mai un Oscar) e della protagonista Carey Mulligan. Amazon sostiene il torrido Saltburn di Emerald Fennell (Oscar per Una donna promettente), mentre sul fronte indie attenzione ai titoli di A24, vincitrice in carica grazie a Everything Everywhere All at Once: Past Lives della sudcoreana-canadese Celine Song, che ha scaldato i cuori all’ultimo Sundance; Priscilla, biopic della signora Presley secondo Sofia Coppola; e The Zone of Interest, premiato a Cannes, atteso ritorno di Jonathan Glazer che affronta in maniera inedita un tema caro all’Academy come l’Olocausto.
la scommessa francese
Ma se dovessimo indicare un film da tenere d’occhio non avremmo dubbi: Anatomia di una caduta di Justine Triet, che sulla Croisette ha vinto la Palma d’Oro. Negli ultimi anni, dal trionfo di Parasite al recente Niente di nuovo sul fronte occidentale, l’Academy si è dimostrata molto attenta a celebrare film non anglosassoni in grado di dialogare con il pubblico americano. E al momento il thriller di Triet, autopsia di una coppia allo sfascio e courtdrama sulla ricerca della verità, ci sembra quello più pronto a intercettare sentimenti oltre i confini territoriali, cioè francesi. Dove, tra l’altro, sta funzionando bene: uscito in sala il 23 agosto, si è subito posizionato tra Barbie e Oppenheimer con 262.698 presenze, diventando il miglior debutto per una Palma d’Oro dai tempi de La classe. Alla terza settimana di programmazione è balzato in testa al box office. Al momento è stato visto da più di 800mila spettatori (per intenderci, il film italiano più visto della scorsa stagione, Il grande giorno, ha registrato poco più di un milione di presenze in più di un mese).
La Francia, non a caso, l’ha messo in shortlist (invero non proprio irresistibile: ci sono anche La Passion de Dodin Bouffant di Trần Anh Hùng, Goutte d’Or di Clement Cogitore, Le règne animal di Thomas Cailley e A passo d’uomo di Denis Imbert) per il titolo nazionale da sottoporre all’Academy per la nomination al miglior film internazionale.
Piuttosto irritati dal fatto che sono trent’anni che mancano l’Oscar (teniamo da parte il muto transalpino The Artist, la cui vittoria nel 2012 è da ascrivere al potere di Harvey Weinstein), i francesi hanno rimesso mano al sistema di selezione del candidato locale (quest’anno ci sono Sabine Chemaly, Tanja Meissner, i produttori Patrick Wachsberger e Charles Gillibert, i registi Olivier Assayas e Mounia Meddour, il compositore Alexandre Desplat), che negli anni passati ha prodotto scelte quantomeno bizzarre (nel 2014 Renoir anziché il più forte La vita di Adéle, nel 2019 il debole Le douleur, nel 2021 Titane ebbe la meglio su La scelta di Anne). Una mossa che li posiziona subito tra i frontrunner dell’annata (anche per le altre categorie: almeno film, regia, sceneggiatura, Sandra Hüller tra le attrici), benché la situazione tra i film internazionali sia ancora molto nebulosa.
i film internazionali: a che punto siamo?
Sono pochi i paesi che hanno già espresso un candidato: dal palmarès di Cannes arrivano le proposte della Finlandia (Fallen Leaves di Aki Kaurismäki, unico regista locale candidato nella storia con L’uomo senza passato), del Giappone (Perfect Days di Wim Wenders, nominato tre volte per i documentari e mai per il film straniero), della Turchia (About Dry Grasses di Nuri Bilge Ceylan) ma anche del Cile, The Settlers, western passato in Un certain regard; la Romania alza la posta e osa con Do Not Expect Too Much From the End of the World di Radu Jude; l’Australia ha scelto Shayda, prodotto tra gli altri da Cate Blanchett, storia di un’immigrata iraniana; il Brasile ci prova con Pictures Of Ghosts di Kleber Mendonça Filho; il Canada punta sul documentario Rojek del regista curdo Zaynê Akyol, dedicato al conflitto Rojava-islamico; la Macedonia del Nord propone Housekeeping for Beginners, appena passato a Orizzonti e distribuito nel mondo da Focus Features; la Corea del Sud lancia il disaster movie Concrete Utopia; la Germania con il dramma The Teachers’ Lounge; l’Indonesia con Autobiography, visto a Venezia nel 2022; il Bhutan, dopo la favola di Lunana, ci riprova con The Monk and the Gun.
Naturalmente è impossibile fare previsioni, per di più in mancanza della lista completa: mancano le proposte di paesi come Danimarca (probabilmente sarà Bastarden di Nikolaj Arcer), Spagna (se la giocano La sociedad de la nieve di J.A. Bayona e 20.000 specie di api di Estibaliz Urresola Solaguren), Messico, India, Svezia, Ucraina. La Polonia non proporrà Green Border, l’acclamato film di Agnieszka Holland accusato dal governo di “propaganda nazista”: non è assurdo, visto il tema (i respingimenti dei rifugiati al confine polacco-bielorusso), immaginarlo in gara in tutte le altre categorie dell’Academy.
E, infine, l’Italia: era fissato a oggi, 14 settembre, il termine ultimo per candidare film italiani da sottoporre alla selezione. Per la designazione sono prese in considerazione e portate in votazione tutte le candidature dei film la cui prima distribuzione in Italia sia avvenuta nel periodo compreso tra il 1° dicembre 2022 e il 31 ottobre 2023. La gara, sospettiamo, è tra Io capitano di Matteo Garrone (forte del Leone d’Argento), Rapito di Marco Bellocchio e La chimera di Alice Rohwracher (che dopo Cannes sono stati a Toronto e saranno al New York Film Festival).